Quando si era bimbi, la migliore delle scuole possibili immaginabili era la classetta di Charlie Brown. Una maestrina elettronica sproloquiava incomprensibili omelie da una radio. Era il massimo della pacchia, ma anche l’apice della tecnologia pre “stevejobsiana”. Si guardava alla creazione fumettistico-cartooniana con fanciullesco stupore ed extraterrestre meraviglia. Ma non si credeva umanamente possibile che un bel giorno (con tanto d’autorizzazione ministeriale) il sussidiario o il libro di geografia venissero scaricati da un coso piatto e dati in pasto alle mandrie studentesche. Eccolo, l’e-book che approda a scuola, con tanto di carta bollata.

Anche i tweet lo segnalano a più non posso, pigolando la novità che partirà a breve: non più solo edizioni cartacee. Nossignori: oggi il libro deve avere in dotazione il download. Ed essere a più dimensioni. In sostanza, una realtà condivisa, che può diventare twitter o facebook e “diasporizzarsi” in cultura diffusa. Altro che maestrina a distanza di Charlie Brown. Credo sia questo uno degli aspetti vagheggiati negli anni Ottanta, quando si diceva: “Chissà che ci sarà nel Duemila”. Il libro che diventa un’entità, non più un incunabolo ingiallito dall’eccessivo studio o dallo sfrenato menefreghismo. Un bene? Un male? Un “si stava peggio quando si stava meglio”? Una alfawebtizzazione, sicuro. Un propulsivo culturale pure. Un’italianizzazione diffusa ancora di più. In questo senso, la stampa libraria sta facendo miracoli.

Con tutto rispetto per Aldo Manuzio, ma l’e-book a scuola è davvero una struttura del progresso, una piattaforma rivoluzionaria, che sfonda le mura della refrattarietà culturale. Con innegabili vantaggi sul peso (assurdo) delle cartelle e il controllo (sacrosanto) dei genitori sullo studio dei figli. Certo, un e-book non salverà il mondo e tantomeno la scuola. Ma, come ci insegnò la conquista della luna, è un piccolo passo verso la incommensurabile falcata per il progresso dell’istruzione e dell’autonomia intellettuale.