“Mannaggia: la Ceci ha un dente cariato. E adesso?”. Non è l’attacco dell’articolo d’un folle, ma quello che gracchia la radio d’una remota contrada delle Marche. E’ un sabato mattina. Sono in auto. Da Macerata ad Ancona. Cambiano i panorami e pure le frequenze. Più o meno colorite. Una mi lascia il segno. Il conduttore d’una stazione, peraltro noto e stranoto, tiene banco. Cerco di capire. Ma l’argomento non è complesso: un’ascoltatrice, più o meno anziana almeno dalla voce, ha un male boia a un dente. I suoi colleghi della condivisione radiofonica (altro che social) si sbattono per metterci una toppa. Modera il conduttore, un simpatico giornalista con la cadenza lievemente marchigiana. “Secundo me, sce vole ‘n pizzico di chiodi de garofano. Quelli che se usa per il sugo”. Buono il primo. Con la benedizione del conduttore. Che riattacca: “Pronto?”. Dall’altra parte: “So’ Chicca, sciao. No, vulevo dì alla Ceci che se curasse co ‘na gocetta de Nuvalgina. Funziona, sa?”. Le tre lucide corsie dell’autostrada mi riportano a una dimensione moderna ma, pur fissando i prodigi della tecnica ingegneristica, resto con la zucca dentro quel mondo fatato. Quel pianeta che, se mi sentisse Franco Cardini, studioso di Medioevo, verrebbe a farsi un giretto nelle mie Marche.

“Oh, Chicca, sei ancora te?”, risponde al telefono il giornalista. “Scì. Stamme a sentì: dì alla Ceci che se fascesse quel rimedio lì, ghe funziona”. Tra un miscuglio e un’alchimia che a Boyle avrebbe fatto inventare la scienza chimica tre secoli prima del XVII, squilla la linea della radio: si disserta della vergogna di certi film tv, della violenza spettacolarizzata, del mondo che fa schifo “co’ tutte ‘scte cose qui”, di piove governo ladro, di come si stava meglio quando si stava peggio, dell’erba del vicino che è sempre più verde. Poi, il lampo di genio: “Sciao Tizio, dimme pure…”. Tizio: “Ah, ah, ah”, ridacchia. Riattacca: “E ghe me vergogno a dillo…”. Silenzio. E: “Pradigamende, deve pija a pipì e mettessela su a bocca, dove ie fa male”. Eccolo, il rimedio della nonna. Cala la pubblicità. E via lo spot sul “risturande da Peppì” che “te fa la curadella e i gnocchi al sugo de papera”. Cavolo, i viadotti dell’asse attrezzato mi risputano nel presente: io, il mio viaggio per il lavoro, lo stress. Ma ci pensa la radio a scipparmi: sulla farmacia della porta accanto, piomba senza sfumature la sigla di coda. E s’alza s0ave il jingle di un’altra trasmissione. Dischi in vinile, che stridono all’ascolto, commentati dallo stesso signore di prima. Felice di consolare la mattinata della Ceci, della Chicca, di Tizio e forse anche di Peppì. Non voglio spegnerla, quella voce. Che consola un po’ anche me.