Il rimbalzo della pallina (il clic ‘plasticato’)  è anche il rimbalzo della mente. Palleggi e ripalleggi il ricordo delle medie, dei pomeriggi conditi dalla carestia di pensieri, degli amichetti che non stringevano in pugno l’ultimo modello strafigo di cellulare, ma l’ultimissima squadra del Subbuteo: odore di magazzino, odore di nuovo, lo toccavi con mano l’ultimo balocco del calcio in punta di dito. Che è quello che ci ha fatto delirare e fantasticare per un decennio, sulle orme dei campioni (allora) baffuti e panciuti del calcio di Paolo Valenti, Marcello Giannini, Giorgio Bubba, Ennio Vitanza e Carlo Sassi. Questo è il Subbuteo, come un cono gelato colorato tra delizia del palato da collezionisti e lo sport da assaporare. L’ho riprovata, quell’ebbrezza, nel posto più consacrato alla memoria affettiva: lo scantinato della nonna che ora è quello della casa di mio fratello, con gli stessi odori e le medesime statuine d’allora. Clic di indice, il tango che rotola sul panno Subbuteo e capire che non di soli pixel è fatto il mondo.

Il bello è che questo rimpallo di ‘moda’ e questo dribbling di convenzioni digitali non ha acchiappato solo me, ma un po’ tutta la turba degli ultratrentenni nostalgici che ripudiano l’invadente tecnologia e riabbracciano l’inconscio per quel calcio che non c’è più, che è diventato, oggi, solo videogames, anzi, forse più finto della sua stessa riproduzione digitale. Riguardavo le statuine del Subbuteo: essenziali, spartane e un po’ così, come le maglie degli anni Settanta-Ottanta. Ma quanta pace e beatitudine in quel clic essenziale, in quel passaggio, in quelle giocate non necessariamente a base di moduli tattici ma anche di ‘butta su’ pallonari e tiri a ‘petrangola’. Solo il recinto richiama il calcio di oggi: basso, senza reti per pollai, rigorosamente all’inglese e più civile degli incasinatissimi e anarcoidi stadi anni Ottanta. Ora, non chiedetemi cosa ci sia alla base di questo ritorno alle origini. La malattia sta pigliando un mucchio di coetanei. Il Subbuteo torna in contropiede a tenere banco nelle case degli italiani, instancabile bisogno di tornare a toccare con mano la realtà. L’autentico. L’emozione palpabile e concreta. Bentornate, statuine. In quel campo, in fondo, si gioca una partita dei ricordi che in verità non è mai stata in zona Cesarini.