Il circense spettacolone mutandaro dei calciatori rinnova ogni santa domenica un rito tribale. Mandrie di pullman e auto prendono la strada di stadi dove sgambettano squadre che nulla hanno a che fare con gli spettatori di provenienza. Con tutto rispetto: ma che senso ha la cosiddetta “fede”, che so, nell’Inter, se si è di Montecchio Emilia? Invece, l’altra volta, per il “teppe” (in abbatantuonesco il “derby”) ho visto muoversi le due Italie alla volta del nord. Al limite è più comprensibile la “fede” per la propria squadra di parrocchia, anche se pure nei bassifondi del pallone regna un’altezzosità da far venire i brividi. Uno spettacolo come un altro? Non proprio. La lirica, il teatro, una partita di basket (per la Virtus la gente non viene mica da Milano) non fanno scattare lo stato d’allerta. Da noi, con le partite, si misurano le capacità di questori e prefetti, lasciando sguarnite le città pur di tenere a bada le masnade inferocite e potenzialmente animalesche. L’altro giorno, dalle mie parti, un derby dei poveri ha scatenato le proteste di quartieri interi: per precauzione erano stati chiusi scuole, parcheggi e accessi.

Se fossi stato un residente, sarei andato io a fare un atto vandalico: per protestare con quel tipo di calcio. Con i beoti che lo vanno a vedere e mi limitano la vita. Mesi addietro, nel gigante della Val Badia, quello sì formidabile gesto atletico, migliaia di persone invadevano la Gran Risa. Ma il nobile popolo ladino ha fatto scorrere il traffico come se nulla fosse, per non parlare delle piste, dove gli sciatori si divertivano come nulla stesse accadendo. No, col calcio si ferma il mondo. Calano i barbari. Perché? E’ solo vietando la Nutella che te le vai a comprare e ne mangi il triplo. Forse ai fessi con la sciarpa si dà più importanza di quella che meritano. Si scomodano celerini, camionette e treni speciali. E i mutandari, con la loro spocchiosa “regula” calcistica, godono di questa giostra, atteggiandosi a idoli unti e tronisti di un mondo idiota. Che noi, giornalisti, contribuiamo a rosolare con paginate e paginate di elucubrazioni e salotti paesani, con cavallone anafalbete e grilli sparlanti. I “diciamo che” e i “questo è il calcio” montano come la panna e fanno venire un senso di nausea. Come le tv che li propongono, ormai in ginocchio, svendendo pacchetti di partite barbose come calzini o mutande.