La triste comparsata del terremoto nel nord non può non suscitare un brivido nella schiena degli anconetani. Che, quarant’anni fa, subirono un incubo di nome Terry. Ecco l’articolo commemorativo che oggi abbiamo pubblicato sulle pagine del fascicolo Nazionale.

 

 

COME UN RING. Un destro. Un sinistro. E poi ko. Una sberla alla Muhammad Ali. Cazzotti a ripetzione. Vibranti. Umilianti. Senza uccidere, ma crudeli. Così fu Ancona per la bellezza d’un anno. Un sisma che fu peggio della morte. Perché lento e atroce. Senza vittime. Ma col potere di svuotare la città, di ridurre il capoluogo a un paesone buio e in macerie. La furia della natura, quel fiato caldo e bestiale, come lo battezzò l’allora inviato del Carlino, Candido Bonvicini, alitò sulla Dorica per tutto il ’72, quarant’anni fa. Un ballo subdolo e sadico.

LE DANZE iniziarono il 25 gennaio. Colpirono alla cieca. Come ogni terremoto che si rispetti. Erano le 21. Gli anconetani erano in vestaglia di flanella e ciabatte. E stavano appiccicati alla tv. Che non aveva ancora l’aggettivo «color» e che proiettava, come ha ricordato lo storico Sergio Sparapani in una celebre conferenza della scorsa estate, lo sceneggiato «A come Andromeda», un cult del tempo, con Paola Pitagora e Luigi Vannucchi. Erano gli anni degli stornelli del Pinocchio di Comencini e dell’usignolo Mina. Ma erano anche gli anni prima dell’austerity. La mazzata s’abbattè sulla città con una crudeltà unica. Tutti nelle auto. Coi plaid scozzesi sulla testa e una fifa boia. Qualcuno si fiondò in strada con l’elmetto della guerra calato sulla fronte, come l’indimenticato Paolo Pierpaoli, ex funzionario dell’Inps, oggi scomparso. E l’elmetto non suonava come una stonatura. Era la paura atavica del bombardamento. Che quel sisma, che gli anconetani con la loro consueta e spaccona ironia chiamarono «Terry», richiamò come un fulmine a ciel sereno. Quella sera di quarant’anni fa decretò l’inizio d’una terza guerra mondiale per la Dorica. Che si spopolò. Lo ricorda anche l’allora ministro alle Partecipazioni Statali, Arnaldo Forlani. Da Roma, con l’immagine ancora nitida di quelle istantanee di volti e disperazione, rievoca: «La faccenda si era prorogata per molto tempo. Per un anno». Di lui, restano alcune diapositive, coi capelli scuri, il completo austero e lo sbarco dall’elicottero dei vigili del fuoco. «C’era un rapporto molto intenso di solidarietà — spiega Forlani — e collaborazione col sindaco Trifogli. Era un uomo pieno di iniziative». E fu quell’uomo a sbattere i pugni sul tavolo. A imporsi contro le baracche, che non significavano ricostruzione, ma provvisorietà. Sfidando tutto e tutti, optò per la ricostruzione. La partnership col governo fu unica. Una specie di Friuli al sapore di ostinazione tutta marchigiana. Rievoca Forlani: «C’è stato un impegno reciproco, che ha visto convergenze di responsabilità locali e governative molto efficaci». Non solo un film a colori, ma anche molti fotogrammi in bianco e nero. Difficili: «Grande era la preoccupazione generale — ricorda l’ex presidente del Consiglio — ma ci fu anache una grande volontà di ripresa e rinascita».

LA BATOSTA arrivò alcuni mesi dopo: il 14 giugno. Per un barista col negozio sulla celeberrima passeggiata di Nanni Moretti, in faccia al porto, quella era la data del compleanno. Ma le candeline soffocarono, spente dal boato della «bestia», che risollevò la testa. «Ricordo un mangianastri arancione cadermi sulla testa», rimembra. Quello fu il segno della seconda e tremenda scossa. Che fece a pezzi la città e condannò gli anconetani alla diaspora. Una Caporetto. A Jesi l’esodo fu massiccio e scatenò l’impennata dei prezzi del mercato immobiliare. A Pesaro nacque una specie d’«Anconatown», a Osimo e Numana sono legate le più belle foto d’album della generazione della seconda metà dei Sessanta. Ricordi d’infanzia. E se «Terry» non procurò morti (solo decessi per infarti e malori), generò, con irriverente scherno, alcune vite. Nate grazie ad ovulazioni extra. Ma la città rialzò la testa. «Un grande spirito di iniziativa in sede locale — torna a sottolineare Arnaldo Forlani — fu specialmente da parte del sindaco. Un impegno di solidarietà». Così calò il sipario sulle macerie: «Eravamo riusciti a rassicurare l’ambiente e a rafforzarne la fiducia». Un esempio su cui la città cammina ancora oggi. Coi piedi ben piantati. E coi muscoli forgiati. Tosti. Anche grazie a «Terry».