Così, solo per pura curiosità, sono andato a sbirciare i giornali dell’archivio.  “Incunaboli” dell’85. Quel nevone restò proverbiale. Si guadagnò citazioni e persino uno dei periodi più belli del giornalismo di questo Paese. Perché, allora, il popolo italiano era un po’ più vintage, magari più contadino e fai-da-te, con poche protezioni civili e omarini vestiti con le pettorine e le tute fosforescenti addosso, ma molto più scafato. Non s’usavano i termini come “terrore” e “morsa”. Non si ingigantivano i reportage. Non si moriva per neve dopo averla spalata perché i cronisti, correttamente, lo definivano decesso per infarto. Non si gridava agli scandali perché la neve era giustamente normale in inverno.

Non si chiedevano stati di calamità. Non si afferrava la pala e la si esibiva davanti ai fotografi per fare i sindaci masanielli. Non si facevano trattati di pace col mostro bianco. Si subiva, si spalava, si fotografa e si raccontava. Semplicemente. Senza iperboli. Anzi, ieri, ho voluto fare un test: le strade. Mi avevano descritto un inferno quaggiù, nel cuore delle Marche. “Ma che sei matto: da Ancona a Corridonia è un disastro”. Dovete sapere che tra la redazione e casa mi separano cinquanta chilometri. Con me non avevo Armaduk (si scrive così?) e non avevo consultato neanche testi di Amudsen (si scriverà così, boh?).

Al porto di Ancona, pure quello descritto come la banchisa del polo, ma assolutamente pulito e percorribile, ho liberato velocemente la mia auto dallo scarso residuo di neve (a sentire i colleghi, sembrava che le auto fossero state ammantate da strati preistorici di bianco) e ho viaggiato come un giorno normale fino alle colonne d’Ercole, Macerata. Non una lastra di ghiaccio,non un cumulo, non un disguido, ma solo spazzaneve che facevano avanti e indietro sul pulito e sul breccino già sparso sull’asfalto. Il cronometro ha calcolato un tempo identico a quello delle altre volte. E dire che intorno di neve ce n’è tanta.

Eppure i bistrattati enti hanno fatto un lavoro magistrale e lo voglio dire col megafono: bravi. Nell’85 era cento volte peggio, le macchine erano rimaste intrappolate, le famiglie pure, ma con una stufetta e un po’ di carisma la gente ce la faceva, non moriva e comunicava. Anzi, giocava con questo tremendo gigante chiamato neve. A fare paura resta solo chi il panico lo crea. E oggi sembriamo tornati indietro di secoli, sputando sempre e comunque sul lavoro degli altri. A cui, forse, dobbiamo dir solo grazie.