I pagnistei del calcio fuffa non commuovono nessuno. Neanche il più fesso che ancora ha il coraggio di sborsare qualche euro per andarsi a godere eroi patinati  più simili a conigli che a uomini. Non ho mai visto, lo giuro, su un campo di basket e volley campioni frignare come pulcini appena usciti dall’uovo. Anzi: l’altra sera, al match scudetto del V-Day della pallavolo, un avversario ha persino indicato all’arbitro che una certa azione non era a suo favore, ma dei rivali. Quando sputiamo fango sul ciclismo per le note vicende di provette e porcherie in pasticche o non so che, è perché non vogliamo scoperchiare la pentolaccia ribollente di pus dello sport che tanto ci piace. Si spara sui più deboli, forse sui meno peggio. Ma si lasciano indenni questi pupazzi con le scarpette chiodate.

Con la crisi che ci uccide, proporrei di devolvere gli incassi degli stadi a chi non arriva a fine mese. E di pagare uno stipendio normale ai signori che sgambettano in mutandoni. Non credo che ci diano niente in senso economico. Anzi: servono solo a svendere l’immagine di un paese piagnucolone, che invece è abituato a ben altre battaglie. Che il 25 aprile ci insegna ad apprezzare e a ricordare. Per dirla con Marcuse, gli uomini che battono gli stadi sono a una dimensione. Intellettuale e morale. Plasmata e dettata dai ritmi del quattrino e della becera competizione. Che poi parte dalle spudorate squadrette di infima categoria, dove calci, pugni, minacce agli arbitri e compagnia cantante sono all’ordine delle giornate di cosiddetto gioco. Leggete i bollettini della Figc, se non ci credete. Forse l’atto di Genova non è stato altro che una prova d’orgoglio. Che i calciatori non hanno più. Da un pezzo. D’altra parte ognuno ha il seguito che si merita. E se sulle tribune sedevano quelle bestie incappucciate, un motivo ci sarà pure stato. Il calcio è nudo. E andrebbe, così com’è, davvero preso a calci. Con tutto rispetto per la palla.