FINCHÉ c’è tifo, c’è speranza. Spenta radio curva, s’accenderanno solo decoder e decoderoni, coi sederini ad ammuffire sui sofà, appiccicati come cozze allo schermo sulla mensola dell’Ikea. Al di là di ogni «Acabismo» e di ogni «tutto-fa-schifo» pompati da film e letteratura, resta il colore. Degli striscioni. Dei fumogeni. Delle sciarpe. Delle bandiere. Lo stadio, come il parquet del palas o la pista da sci, è bello anche per quello. Dico la verità: in val Badia, sul parterre di Coppa, ho visto schizzare tra le porte le lamine di Max Blardone. Spettacolare. Come il Sassongher e gli abeti della Gran Risa. Ma belli erano pure i vessilli tricolori che oscillavano in faccia a La Villa. Senza, sarebbe stato come in quelle anonime gare di Coppa negli States, con qualche signorotto impellicciato di Waterville Valley. Figuriamoci negli stadi. Figuriamoci sui campi di Prima o Promozione, dove il campanilismo (quello pacifico, certo) ci ricorda ancora che siamo belli perché vari e attaccati alle nostre radici.

E ALLORA ecco questo spazio. Dedicato a voi. Quelli della curva. Quelli che vanno allo stadio per fare colore. Per dare una scossa ai ragazzi in campo. Che condannano la violenza in ogni sua forma e concezione. Aspettiamo le vostre coreografie. Le vostre foto più belle. Sono datate? Meglio. Sono del gruppo che scalda il campo di baseball piuttosto che di calcio? Ok, meglio ancora. Mostrateci il lato bello dello sport. Una delle sue ragioni d’esistere ancora. Non ci sono premi in palio. Nessun agonismo. Ma solo ammirazione per chi trasforma una gara in festa. Lo sport ve ne sarà grato.