LA ‘RIVOLUZIONE copernicana’ delle tasse parte dall’imposta più odiata dagli italiani, quella sul mattone. Via l’imposta sulla prima casa, dunque, dal 2016 per 25 milioni di famiglie. Ma è solo l’antipasto, perché il menù renziano prevede 45 miliardi di tasse in meno in tre anni, di cui 5 miliardi nel 2016, 20 nel 2017 e altrettanti nel 2018. Con una precisa tabella di marcia: dopo la casa, nel 2017 ci sarà un intervento su Ires e Irap e, l’anno successivo, si metterà mano sugli scaglioni Irpef e sulle pensioni. Come tutto ciò si realizzerà e, soprattutto, con quali risorse è ancora da definire. «Renzi ha lanciato una linea che ora va concretizzata», dicono dal governo.

MA, mentre i tecnici fanno i conti, qualche numero certo c’è. Tra Tasi sulla prima casa (3,5 miliardi di gettito circa), Imu agricola sui terreni montani (260 milioni) e Imu sugli imbullonati (250 milioni) il governo aumenta il conto della legge di Stabilità di almeno 4 miliardi. Che dovrebbero arrivare da una spending review più pesante rispetto a 10 miliardi preventivati per il 2016. Oggi sulle prime case di lusso (circa 76mila) esiste ancora l’Imu, con aliquota che varia dal 4 al 6 per mille, gli altri pagano la Tasi, con aliquota che va da 1 a 3,3 per mille e 103mila detrazioni diverse nei vari Comuni. Una giungla che verrà ridefinita con la nascita della Local tax: l’idea è di collegarla alla riforma del catasto per definire nuovi criteri di progressività, mentre non si applicherà alle abitazioni principali (o alla grande maggioranza di queste). Per i proprietari di prima casa, secondo la Uil, l’eliminazione della Tasi si tradurrebbe in un risparmio medio di 189 euro a famiglia. E le casse dei Comuni? Dal governo assicurano che il gettito che verrà a mancare sarà compensato, soprattutto attraverso una più incisiva revisione della spesa pubblica.

DOPO le famiglie, tocca alle imprese. Nuova sforbiciata sul costo del lavoro, il cosiddetto cuneo fiscale, con tagli a Ires (l’imposta sul reddito delle società) e Irap (imposta regionale sulle attività produttive). Nella manovra 2014 il governo aveva già iniziato a sforbiciare, 5 miliardi, eliminando il costo del lavoro per i dipendenti assunti a tempo indeterminato dalla base imponibile dell’Irap. Mentre sul fronte dei redditi da lavoro (fino a 26mila euro lordi annui) ha messo in pista il bonus degli 80 euro, che è diventato strutturale ma esclude ancora autonomi, incapienti e pensionati. Un mix di misure che, rileva Bankitalia, hanno abbassato per quest’anno il cuneo fiscale di 4,6 punti percentuali portandolo al 39,9%.
E proprio di pensioni parla Renzi quando annuncia il terzo step della rivoluzione fiscale: 2018, interventi su scaglioni Irpef e pensioni. Le varie imposizioni Irpef (statali, regionali e comunali) si applicano, infatti, per circa il 90% su lavoratori dipendenti e pensionati. «Essendo un intervento programmato su un orizzonte così lungo, una più esatta specificazione arriverà più avanti», ma spiegano nell’entourage renziano «il senso è che si ridurranno le tasse su lavoro dipendente e pensioni».

LA VERA scommessa di Renzi, per riuscire a realizzare questo maxi-taglio delle tasse è sulla crescita futura, che farà lievitare le entrate fiscali, e sull’effettiva realizzazione delle riforme che dovrebbero spingere la crescita Pil. Ridurre i costi della macchina pubblica sarà la condizione indispensabile, perché deficit e debito vanno ridotti e la flessibilità di Bruxelles (dopo aver già spuntato la clausola per le riforme strutturali) potrà arrivare, semmai, sul versante degli investimenti.