TAGLIARE le tasse è sacrosanto, farlo subito indispensabile, partire dalla casa meno. Enrico Moretti, professore di economia a Berkeley e chiamato anche dal presidente Obama per una consulenza, avrebbe scelto una road map diversa: prima, snellire il fisco su lavoro e investimenti.
La rivoluzione copernicana sul fisco annunciata dal premier è la ricetta giusta?
«Sicuramente è la leva economica giusta per fare ripartire l’Italia. Un Paese soffocato dalla pressione fiscale eccessiva che limita investimenti, consumi e, soprattutto, i redditi degli italiani. Il punto è quali tasse tagliare».
Renzi vuole iniziare eliminando la Tasi sulla prima casa.
«Le tasse più distorsive e che più riducono l’incentivo a crescere sono quelle sul lavoro e sugli investimenti, non quelle sulla casa. Ne capisco le ragioni politiche, visto che l’80% degli italiani sono proprietari di casa, ma dal punto di vista economico è l’unica tassa che io avrei tenuto. Ce ne sono molte altre da tagliare prima con effetti positivi su lavoro, consumi e investimenti».
Meglio partire con ulteriori tagli sul cuneo fiscale?
«Dal punto di vista economico sarebbe stato ottimale. Ma attenzione, serve un taglio grosso concentrato su uno o più voci che non tanti micro tagli sparpagliati».
Tagliare le tasse è senza dubbio una boccata d’ossigeno per l’economia, il punto è dove si prendono i soldi per farlo.
«L’altra faccia della medaglia è che bisogna tagliare le spese. In Italia il 49% del Pil è assorbito dalla spesa pubblica, una cifra spropositata. Si parte con la carota, si offre un obiettivo che è quello della riduzione fiscale, e poi si parla di come raggiungerlo. Fare il contrario sarebbe stato difficile. Ovviamente, ci vuole altrettanto rigore nel tagliare le spese e rimanere nei vincoli europei».
Secondo lei, dieci miliardi di spending review sono una cifra sufficiente?
«Sono un antipasto. Una cifra che avrebbe già dovuto essere stata tagliata da anni e che permette la prima riduzione fiscale. Ne serviranno quattro volte tanto per realizzare i tagli anche sul cuneo fiscale e sui redditi personali».
Si parla di chiedere ulteriore flessibilità sul deficit: è accettabile per l’Europa?
«Aldilà della previsione su cosa deciderà Bruxelles, l’Italia adesso ha più credibilità di qualche anno fa e la può spendere, ha fondamentali migliori e ci si aspetta un po’ più di crescita. Poi, si parla di decimali e non di sforare i tetti. L’importante è che ci si indirizzi su un cammino equilibrato di taglio fiscale e delle spese».
La disoccupazione resta il tallone d’Achille: la crisi che ha cancellato soprattutto i posti di lavoro più qualificati.
«Da soli i tagli fiscali non bastano per fare ripartire l’occupazione. Servono riforme strutturali: fisco, burocrazia, giustizia civile. Il Jobs Act è un primo passo. La qualità del lavoratore è un fattore determinante, i Paesi con più alto livello di capitale umano crescono di più. Bisogna riattivare gli investimenti delle aziende in prodotti ad alta innovazione e, dunque, in ricerca e sviluppo. Ma è un processo lungo».
Intanto il debito italiano cresce.
«Con una gestione saggia è sostenibile. Innanzitutto, procedendo con più decisione sulla privatizzazione del patrimonio immobiliare e delle partecipate pubbliche».