IL PILASTRO chiave della manovra sarà la flessibilità. Il secondo, la spending review, vale solo 10 dei 25 miliardi che serviranno mettere in cantiere la maxi legge di Stabilità. Il terzo, la crescita, resta appeso a quel ‘prudenziale’ 0,7% dopo che l’Istat, certificando un magro 0,2% nel secondo trimestre, ha gelato le speranze di una migliore performance del Pil. Dunque, la partita decisiva è sull’asse Roma-Bruxelles. L’Italia ha già chiesto (e ottenuto) la clausola delle riforme strutturali che vale oltre 6 miliardi, l’intenzione ora è di chiedere anche quella sugli investimenti per avere più margini sul deficit 2016. Poiché ogni decimale vale 1,6 miliardi, nello scarto tra l’1,8% del deficit programmato e un ipotetico 2,6-2,8%, ci sono fino a 17 miliardi. Il punto, naturalmente, è quanto si può ottenere. Sia perché non sarà facile, sia perché, come sottolineano dal governo, «meno se ne chiede meglio è». L’obiettivo sarebbe, comunque, spuntare almeno 4-5 miliardi di ulteriore flessibilità. Si vedrà.

LA CRESCITA asfittica, segno che gli incentivi messi in campo non hanno ancora fatto decollare l’economia, certo non aiuta. La riforme, e i frutti della loro attuazione, sono le vere fiches che il governo ha in mano. Per questo il mantra ripetuto dagli uomini di Renzi è: avanti tutta su riforme istituzionali, giustizia, fisco. Ma attenzione, «in assenza di novità, non è che sotto il 3% si può fare come si vuole e ritenersi comunque nel solco dei trattati», avverte il sottosegretario Enrico Zanetti, «e se riporremo sulle discussioni sul deficit maggiore attenzione rispetto ai tagli di spesa e alle agevolazioni settoriali, allora avremo fallito in partenza».
TORNANDO al menù della manovra, ci sono le portate obbligate: 16,8 miliardi per le clausole di salvaguardia (aumento Iva-accise e taglio delle detrazioni) e lo stop alla reverse charge, altri 2,8 per le tre sentenze della Consulta (Robin tax, pensioni e contratti pubblici). Poi c’è la rivoluzione copernicana del fisco, 35 miliardi in cinque anni, di cui 5 già nel 2016 concentrati sull’eliminazione della Tasi sulla prima casa, Imu agricola e imbullonati. E qui già c’è da discutere, con la minoranza Pd che chiede l’esclusione delle case di lusso e Scelta civica che propone un’intervento modulare per agevolare famiglie e imprese. Ma le promesse renziane sono molte: si va dalle misure anti-povertà, alla flessibilità delle pensioni fino alla conferma degli sgravi sulle assunzioni. Su quest’ultimo punto la volontà politica di prorogarle è unanime nella maggioranza ma non nell’impianto attuale, sarebbe troppo costoso. Il viceministro dell’Economia Morando propone, ad esempio, un décalage negli anni che conduca a una stabilizzazione. Per il 2016 servono almeno 2 miliardi, «intanto, si potrebbe partire da lì», è il ragionamento.
A DARE ossigeno alle casse pubbliche ci sono i rendimenti dei titoli di Stato ai minimi storici: tra gennaio e luglio la spesa per interessi è scesa di 2 miliardi, nell’anno il Tesoro punta a risparmiarne 4-5. Schiarite anche sul fronte delle entrate del semestre: 2 miliardi in più di contributi (+1,9%) e forte crescita per le tasse locali trainate (+220%) dall’acconto Tasi.  Così come il calo delle ore di cassa integrazione a luglio è un segnale incoraggiante. Ma tutto questo non basterà. Non basterà secondo Moody’s, che gela le previsioni del governo per il prossimo anno: nel 2016 l’Italia crescerà solo dell’1%, sentenzia una delle tre sorelle del rating, che non prevede una crescita robusta nemmeno nel Vecchio Continente. A metà settembre il governo farà il punto su risorse e priorità: fisco, pensioni, povertà, lavoro. E, allora, qualcosa andrà inevitabilmente depennato dalla lista dei desideri.