Vi propongo a seguire due interviste che abbiamor ealizzato in occasione dei vent’anni dall’entrata in vigore dei trattati di Maastricht. Una, pubblicata oggi 4 novembre, è a Romano Prodi. La seconda è a Gianni de Michelis, ministro degli esteri che firmò il trattato. Il tema di cambiare Maastricht sarebbe degno di una politica europea degna di questo nome. Sarà la volta buona?

 

 

Intervista a Romano Prodi di Massimo Degli Esposti

Prodi boccia l’austerity tedesca
«È tempo di cambiare Maastricht»

 BOLOGNA
LE PRESSIONI Usa convinceranno i tedeschi ad adottare una politica economica più espansiva? Romano Prodi se lo augura, ma ne dubita. Se lo augura perché «da ormai sei mesi è evidente che la lotta per mettere a posto i conti non si può fare in recessione, ma deve essere accompagnata dalla crescita e dallo sviluppo».
I tedeschi ribattono: perché dobbiamo essere noi a risolvere i vostri problemi?
«In tanti, io compreso, abbiamo detto e ripetuto che un Paese non può avere un surplus commerciale come quello tedesco, proporzionalmente doppio di quello cinese, un’inflazione quasi zero e una crescita debole senza porsi il problema del rilancio. Ma tutto questo non ha avuto alcun effetto sulla politica tedesca, forse perché è mancata un’azione comune di Francia, Italia e Spagna, Paesi che hanno gli stessi identici interessi ma agiscono ciascuno per proprio conto».
Qualcosa si muoverà dopo le elezioni tedesche?
«Prima c’erano le elezioni, ora il dibattito sulla grande coalizione; il governo si insedierà a gennaio già in vista delle elezioni europee. Non mi illudo: prima di settembre-ottobre non cambierà nulla».
Nemmeno dopo la strigliata americana?
«Ne dubito molto. L’opinione pubblica tedesca è ormai convinta che ogni stimolo all’economia europea sia un indebito aiuto ai ’pigroni’ del Sud, ai quali peraltro mi onoro di appartenere. È ossessionata dall’inflazione come gli adolescenti dal sesso. Non capiscono che invece il problema, oggi, è la deflazione, come io dico da un anno».
Il nostro problema, non il loro…
«Anche il loro, perché se si spacca l’Euro, con una valuta del nord e una del sud, il loro tasso di cambio andrebbe a 2 e oltre e non venderebbero più una sola Mercedes in Europa. Gli industriali tedeschi lo sanno, ma tutto quel che riescono ad ottenere è solo una politica di piccoli aggiustamenti, piccole solidarietà, il che non basta per uscire dalla crisi».
Non fu lei a parlare di aggiustamenti ‘con il cacciavite’?
«Si, ma il cacciavite deve girare sempre e sempre nello stesso verso. È lavoro concreto, non melina, immobilismo».
Lei disse anche che l’accordo di Maastricht è ‘stupido’. Conferma?
«Allora mi misero in croce, ora tutti mi danno ragione. Ma non è stupido che ci siano i parametri come punto di riferimento. È stupido che si lascino immutati 20 anni. Il 3% di deficit-Pil ha senso in certi momenti, in altri sarebbe giusto lo zero, in altri il 4 o il 5%. Un accordo presuppone una politica che lo gestisca e la politica non si fa con le tabelline».
Si possono cambiare, quei numeri?
«Ci fosse ancora un’Europa forte sì. Ma oggi ci sono solo i Paesi e uno solo al comando, la Germania. Anche la Bce, che pure, con Draghi, è l’unico potere forte europeo e ha fatto tanto, non è onnipotente. Ha uno statuto e la Bundesbank in consiglio…».
Possiamo battere i pugni sul tavolo…
«Dovrebbero batterli insieme Francia, Italia e Spagna, ma non lo fanno perché ciascuno si illude di cavarsela da solo».
L’Italia se la caverà?
«In tre anni di austerità il rapporto fra debito e Pil è sempre aumentato. Vuol dire che è una politica sbagliata».
Possiamo abbandonarla?
«Se sforassimo i parametri i tassi andrebbero alle stelle e saremmo daccapo».
Una proposta?
«L’ho fatta: escludere temporaneamente dal computo del deficit i 51 miliardi versati dall’Italia alla solidarietà europea e usare quelle risorse per investimenti pubblici straordinari».
La ripresa può arrivare dal resto del mondo?
«La Cina viaggia appena sotto l’8%, l’America al 2%; va bene, ma non abbastanza per trainare l’Europa. In America, dove pure è iniziata la crisi, Obama ha dovuto iniettare 800 miliardi di dollari di liquidità per far ripartire l’economia. In Europa chi lo fa?».
Torniamo in Italia. Il ‘suo’ Pd per esempio?
«Per favore. Sono tornato dagli Stati Uniti sabato notte, dopo due conferenze a Harward e Brown. All’alba riparto per Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad…».

 

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Intervista a Gianni De Michelis, di Achille Perego

“Sì all’euro, ma Maastricht è da rifare.

Conviene farsi guidare dai tedeschi”

TORNASSE indietro di vent’anni, firmerebbeancorail Trattato di Maastricht?
«Sì, perché l’impostazione originale era giusta e all’integrazione economica e finanziaria, con la moneta unica, aggiungeva anche l’avvio di un’integrazione politica», esordisce Gianni De Michelis, ex ministro degli Esteri che, con l’allora responsabile del Tesoro, Guido Carli, firmò il 7 febbraio del 1992 il Trattato sull’Unione europea.
C’è chi, di fronte alla crisi,invoca un’uscita dall’euro…
«È una soluzione che non esiste. Quello che si può invocare è una revisione del Trattato di Maastricht che concepisca un’architettura costituzionale più articolata, rendendo possibile l’estensione dell’Europa verso Sud (Turchia) e verso Est (Russia). Ma anche una Bce che possa emettere moneta e quindi rappresentare un creditore di ultima istanza. Una revisione che va trattata alle condizioni tedesche, perché ormai conviene a tutti che la Germania si prenda la responsabilità di guidare la nuova Europa».
L’unione politica immaginata a Maastricht non s’è mai realizzata…
«È stato un passaggio compiuto solo a metà. Le responsabilità maggiori del fallimento non sono attribuibili a chi negoziò Maastricht indicando la direzione di marcia ma a quelli che, dopo, non sono riusciti a far fare passi in avanti all’integrazione politica. Se quest’ultima fosse proceduta con la necessaria velocità, probabilmente l’Europa non si sarebbe trovata nelle condizioni in cui s’è trovata quando è scoppiata la crisi finanziaria globale».
È vero che il bilancio dell’Italia in questi vent’anni di Maastricht è stato in parte negativo?
«Indubbiamente il nostro Paese ci ha perso subendo le condizioni che le sono state imposte dall’egemonia della Germania. Nel 1997 siamo stati costretti, anche per la debolezza del Governo Prodi-Ciampi ad accettare due condizioni, entrambe non scritte a Maastricht. Un tasso di cambio lira-euro aumentato di circa il 20%, e la camicia di forza del limite del 60% del rapporto debito- Pil, reso obbligatorio dal fiscal- compact».
Quando firmò il Trattato, lei disse:adesso ci attendono cinque anni duri di riforme. Riforme che nessuno ha mai visto…
«È vero, una parte della colpa è nostra. E oggi, avendo accettato il fiscal- compact e avendo messo in Costituzione il pareggio di Bilancio è ancora più difficile».