RASSEGNATEVI, non sparirà. Cambierà nome, forma e modi di fare, ma continuerà fino alla fine del mondo il cammino iniziato nei secoli dei secoli: è il Tributo con la t maiuscola. Maestro di metamorfosi attraversa leggiadro la storia di riforma in riforma, di rivoluzione in rivoluzione, mantenendo una sola costante: il conto finale, di solito in rialzo, da presentare ai contribuenti. L’hanno chiamato vectigal, fiscum, decima, tributum simplex, duplex, triplex, Vanoni, Irpef, Isi, Ici, Imu, Tares. Ha vestito l’abito del pontatico (pedaggio per chi usa i ponti statali) le sembianze della tasse sul macinato, sui domestici (cinque lire per una cameriera donna, il doppio per un uomo), sulle carrozze, imposta sulla ricchezza mobile o sulle successioni. Nei secoli dei secoli ha imparato ogni sorta di sottigliezza per mostrarsi bonario e incassare il massimo possibile.
SPESSO si è mascherato con le esenzioni per mostrare la sua faccia migliore. Lo ha fatto al punto che, in Italia, si arrivò a esonerare dal pagamento di una tassa i soldati morti durante la prima guerra mondiale. Il Tributo ha una storia infinita e globale di metamorfosi. Le testimonianze si sprecano, basta una per tutte: la piccola vicenda dell’imposta sugli immobili italiani. Nacque nel ’92 e fu battezzata Isi, dove la esse sta per straordinaria. A conferma che nulla è più definitivo del provvisorio, cinque mesi dopo si trasformò in imposta stabile e comunale: l’Ici. Campò fino al 2007 e costò in media — secondo la Uil — 136 euro con punte di 408 euro a Roma e di 393 euro a Milano. Fruttò allo Stato circa 11 miliardi di euro (2,8 miliardi dalla prima casa). Sparì giusto il tempo di ricomparire a fine 2011 sotto un altro nome: Imu. Un salato mix tra vecchia Ici e Irpef sul mattone.
Dame di compagnia la Tares e in un futuro prossimo quella Service Tax che potrebbe licenziare l’Imu.
UN’ALTRA metamorfosi nel corso di un anno scandito da larghe intese sulla volontà di alleggerire il dazio e, a far da contrappunto, dal pessimismo della matematica applicata ai soldi in cassa: sempre troppo pochi per soddisfare tutti gli appetiti. Colpa dei due grandi nemici del Tributo con la t maiuscola: l’evasore e la spesa pubblica. Quell’ingordigia continua del sovrano che, tanto per stare in Italia, la Cgia di Mestre ha fotografato così: dal 1997 ad oggi la spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, è aumentata del 68,7%. Le entrate fiscali sono cresciute del 52,7%. Capitolo all’interno del quale le tasse locali spiccano con un più 204,3% contro il ‘solo’ più 38,8% delle tasse centrali. È vero che le tasse sono una cosa bellissima: servono a pagare ospedali, scuole e servizi sociali. Se fossero più basse ed eque potrebbero essere meravigliose. Solo — felici di essere smentiti — un sogno di fine estate destinato a rimanere tale fino a quando qualcuno non riuscirà a confutare la verità che Michael Faraday, scienziato che scoprì l’induzione elettromagnetica, offrì a William Gladstone, all’epoca ministro delle Finanze della Gran Bretagna. Gladstone, dopo avere assistito a un esperimento dello scienziato, chiese: «È molto interessante, ma qual è il valore pratico di ciò?» «Un giorno, signore — fu la risposta —, il governo potrà farne oggetto di una tassa».

 

Pubblicato su Qn mercoledì 27 agosto 2013