Il ministro del lavoro Elsa Fornero si permette di dire che i giovani non devono essere troppo schizzinosi, devono prendere le prime offerte e poi da dentro guardarsi intorno perché “non si può aspettare il posto ideale”. Apriti cielo, schizzinosi entra dritto nella serie inaugurata da bamboccioni (Padoa Schioppa) e “sfigati” (i fuori corso secondo il sottosegretario al Lavoro, Martone). Fornero utilizza il termine inglese choosey, che sarebbe più corretto tradurre come difficili o pignoli. Ma è schizzinosi la parola che rimane impressa a tutti e domina le reazioni contro il ministro. Ma siamo davvero sicuri che la Fornero abbia sbagliato? Di certo poteva risparmiarsi una parola che, a fronte di tanti giovani disoccupati, non può che suonare offensiva. Poco conta la precisazione della stessa Fornero che, a richiesta, ha chiarito che «i giovani italiani oggi sono disposti a prendere qualunque lavoro», «tant’e’ che sono in condizioni di precarietà». «Nel passato quando il mercato del lavoro consentiva cose diverse, qualche volta poteva capitare, ma oggi i giovani italiani non sono nelle condizioni di essere schizzinosi». Correzione tardiva che non cancella la frase infelice, né il problema.
In Italia i Neet (Not in education, employment or training) — giovani che non studiano ne’ lavorano ne’ si preparano a farlo — sono circa 2 milioni nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni. Hanno un costo pari all’1,2% del pil Ue e al 2,06% di quello italiano (con una perdita di 32,6 miliardi di euro, la piu’ alta in termini assoluti tra i paesi europei).

Secondo Eurofound, la fondazione dell’Unione europea impegnata sul miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro — in Europa i giovani Neet sono 14 milioni ma è la percentuale rispetto al totale della fascia di età 15-29 anni a rendere meglio la gravità del problema in alcuni paesi tra i quali l’Italia: nel nostro paese non lavora il 22,7% dei giovani, la terza percentuale più elevata dopo il 23,2% della Grecia e il 24,6% della Bulgaria. Ben aldisopta della media europea del 15,4%. Ma la situazione riesce a essere anche peggiore guardando ai più “vecchi“: se tra 15 e 19 anni i giovani italiani Neet sono l’11,7 per cento, nella fascia 20-24 anni salgono al 27,4 per cento e in quella 25-29 anni al 27,8 per cento. Peggio fa solo la Bulgaria con  il 29,3%.

Attenzione, però a dare tutta la colpa alla grande recessione. Lo spiega spiega a TMNews Massimiliano  Mascherini, direttore delle ricerche allo Eurofound: “Se guardiamo ad un paese come la Spagna”, dove comunque i Neet raggiungono il 21,1 per cento “l’aumento è dovuto principalmente alla crisi che ha fatto aumentare il numero di disoccupati. I Neet italiani invece sono fondamentalmente inattivi. Nella maggior parte dei casi non hanno mai lavorato questo lascia intuire che ci sono problemi di fondo nel paese”.

Dallo studio Eurofound emerge che se nella media dell’Unione europea quasi un Neet su due, il 48,1 per cento, si trova in questa situazione in quanto disoccupato, in Italia questa quota è solo del 33,9 per cento. In pratica emerge una maggiore passività di atteggiamento, o forse rassegnazione tra i giovani del Belpaese. Ma se così stanno le cose forse è più saggio non liquidare troppo superficialmente  l’uscita (infelice) del ministro del Lavoro.

(A proposito di giovani e lavoro vedi articolo precedente: Cervelli, vatti a fidare )