Gli stipendi d’oro dei manager pubblici fanno i conti con l’ira del governo Letta: tagliati, riproposti e poi di nuovo ridimensionati, sono testimoni di intrighi che si muovono sotterranei come un fiume carsico. Il nuovo braccio di ferro tra mano del governo, decisa a ridurre del 25% le indennità più alte, e le manine notturne che inseriscono commi e codicilli ispirati dalla potente lobby dei super-dirigenti, è terminato con il via libera in Commissione alla sforbiciata. Vedremo se saprà diventare legge. Il testo inserito nel “decreto del fare” vorrebbe modificare la norma del salva-Italia dell’esecutivo Monti, che indicava nel compenso del primo presidente di Cassazione (circa 300 mila euro) il tetto nelle retribuzioni di manager di società pubbliche non quotate. Letta vorrebbe andare oltre: abbassare di un quarto i compensi degli amministratori delle società quotate come Eni, Enel o Finmeccanica, e definire i tagli per chi guida società non quotate ma che emettono titoli.

Il tema resta controverso nell’Italia in difficoltà, con le famiglie costrette a fare i conti con buste paga sotto i mille euro al mese: piace al governo l’idea di una limatina ad esempio ai compensi del direttore generale della Rai (650 mila euro l’anno), o degli amministratori delegati di Fintecna (750 mila) o delle Poste (1,5 milioni), di Ferrovie dello Stato (poco meno di un milione) o di Cassa depositi e prestiti (un milione).

La retribuzione tuttavia porta con sé una problematica decisiva, quella del merito: nelle economie di mercato i migliori vanno premiati, gli stipendi devono essere adeguati ai risultati e alle responsabilità. Perché spesso esiste una correlazione positiva tra la crescita della produttività, la creazione del valore e l’aumento delle buste paga, mentre l’appiattimento delle indennità rischia di privare il settore pubblico, nel corso del tempo, delle menti migliori.

Naturalmente in un Paese che conosce bene le scalate a posizioni di prestigio non per merito ma per affinità partitica, è problematico digerire come etico e giusto lo stipendio d’oro del super-manager. Che a volte non lo merita. Non è facile nemmeno nella Svizzera delle super-banche e delle multinazionali, che ha approvato per referendum il tetto agli stipendi dei dirigenti delle società non solo pubbliche ma pure private: in linea teorica il manager non dovrebbe guadagnare più di 12 volte quello che in media incassa il dipendente della sua azienda, oggi il rapporto è di uno a duecento nei casi più significativi e nelle imprese più remunerative dei cantoni elvetici. Si è stimato che in Italia, nel settore privato, non sia molto diverso: un manager bancario guadagna 50 volte più del suo collaboratore, ma in altri settori si arriva a una retribuzione individuale del manager che basterebbe per 400 dipendenti. E’ dunque indispensabile un tetto alle retribuzioni fissato per legge? Forse. Di sicuro servirebbero migliori criteri di selezione per i dirigenti pubblici, che almeno devono valere per quel che ci costano.