Tassi fermi e sostegno monetario invariato: la Banca centrale americana non cambia politica e rinvia il tapering, cioè la riduzione degli 85 miliardi di dollari mensili attraverso i quali sostiene i mercati finanziari. Un po’ per cortesia istituzionale: il presidente Ben Bernanke è ormai agli sgoccioli del mandato (scade il 31 gennaio) ed è consuetudine non modificare le strategie negli ultimi mesi dell’incarico. Sarà il suo successore Janet Yellen, la prima donna a guidare la più potente banca del mondo, a decidere se e come restringere la liquidità immessa sulle Borse.

Ma Washington rimane cauta, seppur ottimista, sulle prospettive della locomotiva a stelle e strisce: la crescita resta moderata, l’immobiliare rallenta e pesa il braccio di ferro sul tetto del debito, con licenziamenti e una perdita stimata fino a mezzo punto di  Pil. La Fed sembra dunque determinata a mantenere una politica espansiva finché il tasso di disoccupazione non sarà sceso al 6,5% e l’inflazione non raggiunga il target del 2 per cento.

Il disegno di Bernanke, che ha permesso agli Stati Uniti di uscire da una delle peggiori crisi della sua storia, viene definito anche dalla debolezza del dollaro, in una scacchiera mondiale che vede i banchieri centrali fronteggiarsi in una specie di battaglia neo-protezionista, fatta di interventi espansivi e valute deboli che favoriscono la competitività dei rispettivi sistemi economici: dalla Fed alla Bank of England, dalla Banca Svizzera che impone il tetto alla rivalutazione del franco fino all’estremo oriente di Giappone e Cina.

Fra le rarissime eccezioni la Banca centrale europea, più fedele alla tradizione del rigore: l’euro che sfiora quota 1,40 sul dollaro rischia però di trasformarsi in una palla al piede del rilancio dell’eurozona, penalizzando le esportazioni soprattutto dei paesi più deboli.  E il trend potrebbe non essere concluso, secondo le indicazioni degli analisti tecnici che tuttavia sottovalutano un’incognita: la Corte Costituzionale tedesca sta decidendo sulla legittimità delle operazioni della Bce a sostegno dei bond sovrani degli Stati in difficoltà. Il cosiddetto “bazooka” del presidente Mario Draghi potrebbe venir scaricato dai tedeschi, con ripercussioni per il vecchio continente (e per l’euro) difficili da prevedere.