Con la quarta riduzione del costo del denaro in due anni di presidenza della Banca centrale europea, Mario Draghi riafferma la sua determinazione nel vecchio continente impantanato da anni in politiche economiche sterili e inconcludenti, se non addirittura dannose.

Il taglio del tasso di riferimento allo 0,25 per cento è stata una sorpresa per i mercati e per la maggior parte degli analisti finanziari, che attendevano più accondiscendenza del numero uno dell’Eurotower ai malumori tedeschi: Draghi, e con lui il direttivo della Bce, ha badato alla sostanza. La crescita dell’eurozona non è ancora soddisfacente, l’inflazione resta molto sotto i target di Francoforte e s’è affacciato lo spauracchio della deflazione, il super-euro rischia di gelare i germogli di ripresa tra il Baltico e il Mediterraneo. La riduzione dei tassi al minimo storico è dunque l’ulteriore mossa a sostegno del rilancio e in pochi minuti s’è materializzato il primo effetto, con l’indebolimento dell’euro sui mercati valutari che favorisce la concorrenza dell’export del vecchio continente.

Draghi ha inoltre avvertito i mercati internazionali: la politica monetaria di Francoforte rimarrà espansiva a lungo, c’è ancora spazio per ulteriori riduzioni del costo del denaro e di nuove iniezioni di liquidità, nella speranza che attraverso le banche il denaro arrivi finalmente alle famiglie e alle imprese.  Il presidente non ha nascosto, oltre alla fragilità della ripresa, un altro dato problematico: il debito dell’Europa dell’euro salirà sopra il livello di guardia nell’anno in corso, al 95,5 per cento, e crescerà ancora fino al 99-100% nel 2014. Un fardello che peserà nell’eterna lotta europea tra rigoristi ed espansionisti, tra i Paesi del Nord e i periferici del Sud, sul terreno dei bilanci nazionali e delle possibilità di investimento pubblico degli Stati più indebitati. L’altalena di Piazza Affari conferma il timore.