Il paziente zero ha ancora profonde ferite ma è salvo, i medici stanno per abbandonare il capezzale pur continuando il monitoraggio: il terzo lunedì dell’agosto 2018 la Troika lascia Atene, dopo otto anni di commissariamento della Grecia. Dal 2010 il Fondo monetario internazionale, l’Unione europea e la Banca centrale europea sono intervenuti con tre successivi programmi di salvataggio erogati in forma di prestiti a condizioni favorevoli, ma con imposizioni pesantissime e una austerity devastante negli effetti collaterali: in pochi anni è stato bruciato un quarto della ricchezza prodotta dal paese, è raddoppiato il numero di persone che vivono in povertà (il 21% della popolazione) e sono stati oltre 450 provvedimenti del governo di Atene emanati per rispettare le indicazioni della Troika, tra questi il taglio drammatico di pensioni e stipendi, la drastica riduzione della spesa anche per sanità e ospedali, la svendita di beni imposta con i blitz sulle privatizzazioni. I contraccolpi? Disoccupazione appena sotto il 30 per cento, suicidi in fortissimo aumento, esplosione della mortalità infantile, diminuzione della speranza di vita.
Eppure quel che sembrava del tutto evidente al cittadino comune, cioè che la cura dell’austerity fosse troppo pesante e alla fine controproducente, venne ignorato per anni da esperti, autorità e politici prima delle parziali ammissioni del Fondo monetario: “L’intera operazione venne studiata per prendere tempo” scrisse il Fmi in un report riservato. Si temeva il contagio agli altri paesi deboli dell’Eurozona (Portogallo, Spagna e Italia) e soprattutto non si volle ristrutturare sùbito un debito greco allora d’importo risibile per la potenza economia del vecchio continente, un centinaio di miliardi, meno del 10 per cento delle risorse mobilitate per il salvataggio delle banche europee colpite dalla crisi americana dei mutui subprime. Tuttavia di quel fardello scomodo di titoli di Stato, una novantina di miliardi era in pancia a istituti francesi e tedeschi che dovevano liberarsene prima della ristrutturazione del debito. Così accadde: le banche delle due potenze europee si sono svuotate dai titoli tossici greci e il “piano di salvataggio” è partito. E il costo è lievitato tra prestiti bilaterali, sostegno del fondo europeo salvastati, miliardi  di Fmi e Bce: le stime ora indicano in 354 miliardi complessivi quelli spesi per il salvataggio, 56 quelli partiti dall’Italia con destinazione Grecia.
Atene truccò i propri conti negli anni che precedettero l’esplodere della crisi e perse ogni credibilità internazionale e capacità di contrattazione, ma l’accanimento non lasciò scampo: “È stato fatto un grave errore nel calcolare i moltiplicatori, abbiamo sottostimato l’effetto recessivo di alcune misure imposte al paese” ammise con irritante tecnicismo e incredibile candore il Fondo monetario, qualche anno dopo. Stando poi allo studio dell’inglese “Jubilee debt campaign”, i prestiti della Troika finirono nella ristrutturazione del debito privato (34 miliardi), alla ricapitalizzazione delle banche elleniche (48,2), alla stessa Troika per pagare interessi e capitale (149,2 miliardi): famiglie e aziende greche incassarono poco più di 20 miliardi.
Dall’anno scorso la situazione sembra lentamente migliorare per le casse di Atene: nel 2017 l’economia greca è cresciuta dell’1,4% e la disoccupazione è scesa sotto il 20 per cento. Le condizioni imposte ad Atene rimangono impegnative (avanzo primario al 3,5% fino al 2022 e al 2,2% fino al 2060), ma la speranza è che anche i “medici” abbiano imparato qualcosa dopo aver imposto una medici che ha rischiato di uccidere il paziente e forse ne ha rallentato la guarigione: “Abbiamo calpestato la dignità dei greci – ha confessato lo stesso presidente della commissione della Ue, Jean Claude Juncker, in una intervista del giugno scorso. Mentre avverte, riferendosi ai conti del Belpaese: “Ora non calpestiamo quella degli italiani“.