CONTO alla rovescia per il referendum “sulle trivelle”, voluto da nove Regioni. Si voterà su un aspetto specifico della partita energia che, però, ha finito per trasformare la consultazione in una contesa tutta politica – innanzitutto dentro il Pd –pro o contro l’attuale governo. Tanto più alla luce dell’ultima bufera mediatico-giudiziaria che si è abbattuta sull’ex ministro dello Sviluppo economico. Ma siamo sicuri di aver capito bene su cosa andiamo a votare?
L. B., Milano

CHIARIAMO subito un concetto: lo strumento del referendum è inadatto (forse anche pericoloso) per tematiche estremamente tecniche e complesse. Partiamo dall’inizio: perché la chiamata alle urne del 17 aprile possa essere ritenuta un’attività democratica serve che il quesito sia comprensibile e le argomentazioni, pro o contro l’abolizione, siano alla portata dell’elettore medio. In un popolo che esprime concetti raffinati come «meglio che stiano a casa loro» parlando di migranti, che confonde Isis e Islam, che soffre ancora di analfabetismo funzionale, ci possiamo legittimamente attendere una conversazione di livello sulla geopolitica di gas e petrolio? Purtroppo in tanti ci cascano: «Bello andare al voto, bello partecipare, giusto dare un messaggio per un’Italia migliore anche se non c’ho capito molto delle concessioni». La politica energetica andrebbe costruita con uno sguardo strategico, di lungo periodo. Che non abbiamo e che nessuno ci aiuta ad avere. Neanche il presidente della Consulta…
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