DA UN PAIO di giorni si è tornato a parlare di Doina Matei, la ragazza romena che nove anni fa, nella metropolitana di Roma, dopo un litigio nato dal nulla colpì con un ombrello Vanessa Russo, provocandole un’emorragia cerebrale e la morte. Vari giornali hanno ripreso la notizia sottintendendo un senso di forte indignazione: com’è possibile che un’assassina possa accedere alla semilibertà? Rosella Mosca, Milano

COME SEMPRE accade, anche in questo caso, i commentatori si sono sostituti ai giudici e hanno parlato di «ragioni di opportunità». La cosa che più dispiace ogni volta che l’attenzione pubblica ritorna su un caso doloroso di cronaca giudiziaria, è che la reazione sia di puro livore. Succede ormai con ogni processo che abbia un minimo di visibilità pubblica. Si leva un risentimento senza pace che mette in discussione lo stato di diritto. Quale destino vogliamo per Doina Matei? La pena di morte, come qualcuno si augurava sul suo profilo Facebook ? Certo, la pena che si prova per una ragazza di 23 anni morta per un litigio finito molto male è davvero indicibile. Ed è giusto che uno Stato sia vicino alle vittime. Ma al contempo chi si occupa della cosa pubblica deve riuscire a creare anche la possibilità di una riabilitazione.Quale funzione reintegrativa dovrebbe avere la nostra pena se non consente a una donna che è stata dietro le sbarre 9 anni e che rivede la luce di fare un sorriso? Sarebbe solo vendetta e niente altro. [email protected]