LO SCORSO ANNO sembrava che nessuno poteva esimersi dal farlo: tutti lì a lanciarsi secchiate d’acqua gelata con l’obiettivo di raccogliere fondi contro la Sla. In poco tempo il gioco estivo era diventato il nuovo fenomeno della rete e oltre ai soldi la mania aveva avuto il merito di far conoscere una patologiaa terribile di cui ancora si sa poco. E adesso, passata la «sbornia», chi si ricorda più dei poveri malati e della necessità di continuare la ricerca? Anna B. Milano

SEMBRA effettivamente passato un secolo, eppure lo scorso anno il fenomeno (l’ice bucket challenge) era diventato virale con calciatori e personaggi dello spettacolo e della politica in prima linea nei loro giardini o sulle spiagge vip, per essere bagnati e immortalati. In poco tempo la lotta alla Sla si era trasformata in un parata di stelle in calzoncini che, davanti alle telecamere, si prendevano secchiate d’acqua gelata in testa, scatenando lo stupore delle persone comuni e l’indignazione dei malati. Sui social network non si contavano video e condivisioni, ma nelle casse delle associazioni le donazioni scarseggiavano. A distanza di un solo anno della moda non c’è più traccia, ma i malati e le loro famiglie continuano a dover fare i conti con istituzioni che promettono e poi non sono capaci di mantenere, con cocenti delusioni e momenti dolorosi. Perché per loro servono meno parole, meno esibizioni a favore di tv e più fatti. Perché sono persone che vogliono solo un aiuto per riorganizzarsi e per ricominciare a vivere. [email protected]