LA GITA dovrebbe essere un momento culturale, educativo e formativo. Se questo fine viene meno, anzi si trasforma in un pretesto per isolare una compagna di classe per di più affetta da una grave disabilità, vengono meno i presupposti stessi della gita. In questo caso meglio stare a casa a riflettere. La vita è fatta di scelte e assunzione di responsabilità. Le scelte sbagliate implicano conseguenze anche spiacevoli.
Lavinia, ilgiorno.it

I CASI di Giulio, Luigi e Francesca, i tre ragazzi protagonisti, loro malgrado, delle cronache di questi giorni, ci obbligano a pensare (o a ripensare) al problema dell’inclusione fra i banchi di scuola. Perché se è senza dubbio grave che un ragazzo o una ragazza autistica vengano volontariamente messi da parte dal resto della classe per via del loro disturbo, non lo è di meno se questo avviene per una dimenticanza o per un errore di comunicazione. È fallita, in questi casi, la capacità di «farsi carico» da parte del compagno, così come fallisce tutte le volte in cui alcuni insegnanti di sostegno ricorrono a un corridoio quando non riescono a gestire un adolescente con problemi più o meno gravi. Però al contempo e fuori da qualsiasi retorica domandiamoci: siamo davvero sicuri che condurre un alunno con disabilità grave in gita sia sempre una meravigliosa opportunità? Proviamo troppo rispetto per le persone per arrogarci il diritto di rispondere sì. E ridicolo dire che io sono Giulio, Luigi, Francesca. Perché è una grande bugia.

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