IL NOSTRO GOVERNO – non ci sono dubbi – sta mettendo tutta la determinazione sul caso Regeni, ma il pericolo che ci si vada a impantanare come con l’India per il caso dei marò esiste. Dopo il fallimento del vertice tra magistrati e investigatori italiani ed egiziani, ci sarebbero altre mosse allo studio del Governo italiano. Facciamo però in fretta perché si ha la sensazione che più passa il tempo più sarà difficile trovare la verità.
Letizia Pagni, Milano

LA VERITÀ su Regeni non è solo una questione giudiziaria o di dignità istituzionale. È una questione politica: tocca questioni come la tortura, le sparizioni dei dissidenti, il ruolo del diritto internazionale, il senso dei rapporti commerciali tra nazioni, la libertà della ricerca universitaria, l’importanza dell’informazione libera e altro ancora. Su Giulio Regeni e sulla sua atroce fine, vorremmo che il governo italiano pretendesse piena luce. È un dovere che abbiamo nei confronti della vittima, ma anche un diritto per difendere la dignità di uno Stato che deve tutelare i propri figli. Questo, indipendentemente dal fatto che l’Italia è il primo partner commerciale dell’Egitto, che abbiamo sostenuto Al Sisi quando ha tolto lo scettro del governo ai Fratelli Musulmani per riportare ordine (militare) in un Paese nel caos, che i generali al potere sono alleati importanti nella lotta contro l’Isis. Tutto vero, per carità. Però c’è un limite a tutto questo: il limite dei diritti umani. Per la morte di Giulio il rischio è di doversi accontentare di una verità «ragion di Stato» e non di una verità coerente con la realtà oggettiva.
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