BEN trent’anni. Me lo ricordo quel 26 aprile 1986, quando vedemmo in televisione come si spostava la nube. L’Italia fu colpita in pieno e mai sapremo se tutte le morti per tumore sono state dovute allo scoppio di quella maledetta centrale. All’epoca la seconda potenza del mondo si stava dissolvendo e da lì a pochi anni sarebbe caduto il famoso Muro. Io credo che morti ce ne saranno in Russia, ma anche in Europa, ma nessuno dice nulla.
Andrew, ilgiorno.it

COME SPESSO avviene, in occasione di un anniversario si risveglia l’attenzione su un tema dimenticato. Il mondo torna a posare gli occhi su Chernobyl e per qualche giorno si chiede: 30 anni dopo, che succede là dove è avvenuto uno dei più gravi disastri nucleari della storia? Ha un senso per Chernobyl usare la parola “guarire”? O quale prezzo? A ogni anniversario si moltiplicano i rapporti scientifici che cercano di quantificare l’impatto dell’esposizione alla polvere radioattiva analizzando l’aumento dei casi di tumori alla tiroide tra i bambini, il calo demografico, le malformazioni genetiche. Chernobyl è stato per molti di noi che scrivono, all’epoca ragazzini o bambini, il giorno della presa di coscienza della pericolosità intrinseca dell’energia nucleare. I timori che le autorità sovietiche stessero sottostimando l’impatto dell’incidente, i pareri degli “esperti”, che dichiaravano o smentivano la pericolosità di mangiare frutta e verdura, la corsa agli scaffali che si verificò nei supermercati. Una cartolina sfuocata di grandi mai sopite angosce.

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