Appuntamento per le  8 ora italiana per conoscere la scelta del Presidente. Ma è francamente inutile attendersi colpi di scena: Donald Trump va verso l’uscita dall’accordo nucleare con l’Iran.  “Per tutta la campagna del 2016 _ scrive il New York Times _ Trump ha definito l’Iran deal un “disastro” e “folle”. Ma per più di un anno, fu riluttantemente convinto da alcuni membri del suo gabinetto che l’accordo era meglio di qualsiasi altra alternativa, e che gli Stati Uniti non avevano alcun piano B, se fosse stato il primo a violare gli accordi. Ma questi consiglieri – Rex W. Tillerson e Lt. Gen. H. R. McMaster – sono stati estromessi negli ultimi mesi e sostituiti da due dei maggiori critici dell’accordo con l’Iran, il segretario di Stato Mike Pompeo e John R. Bolton, il consigliere per la sicurezza nazionale”. Destino segnato, quindi. Ovviamente, se il presidente Trump si ritirasse dall’accordo, l’Iran potrebbe affermare che Washington è stata la prima a violarlo: una indubitabile vittoria di propaganda. E l’Iran sarebbe conseguentemente libero, se volesse, di riprendere la produzione di combustibile: una potenziale vittoria della non proliferazione. Un doppio autogol per gli Stati Uniti.

L’ipotesi di riportare l’Iran al tavolo della trattativa, molto cara a Trump, è chiaramente irrealistica. «Considerando il fatto che gli Stati Uniti non tengono fede ai loro impegni, sarebbe ingenuo avviare di nuovo colloqui con un Paese così inaffidabile» ha detto oggi il primo vice presidente iraniano, Eshaq Jahangiri. Anche le conseguenze economiche dell’uscita degli Stati Uniti non sarebbero poi così drammatiche per un paese abituato da anni alle sanzioni. Il presidente iraniano, Hassan Ruhani, ha detto che “Teheran potrebbe affrontare alcuni problemi per due o tre mesi” in caso gli Stati Uniti uscissero dall’accordo mentre il vicepresidente della National Iranian Oil Company, Ghana Taman Gouzas, ha promesso che “lo sviluppo dell’industria petrolifera dell’Iran continuera’ anche se saranno imposte nuove sanzioni”. Nessuna preoccupazione anche per il governatore della Banca centrale dell’Iran, Valiollah Seif:  “L’economia non subira’ conseguenze da un’eventuale ritiro degli Stati Uniti dall’accordo”.

E se l’Iran fa buon viso a cattivi gioco quello che è certo è che l’America in questa battaglia rischia di restare sola con Israele e l’Arabia Saudita. Regno Unito, Francia, Germania, Unione Europea, Russia e Cina infatti non usciranno dall’intesa.

L’Ue ribadisce che “l’accordo sul nucleare iraniano va mantenuto e deve essere preservato, in quanto funziona. Resta il nostro impegno per la sua piena attuazione. L’accordo sul nucleare iraniano si basa sui fatti e impegni concreti e la loro verifica stringente, non sulla fiducia o sulla buona volontà. Noi ci basiamo sui vari rapporti dell’agenzia Aiea che ha pubblicato dei dossier nei quali si precisa che Teheran si è impegnato nel rispetto e nella messa in opera dell’accordo” ha osservato oggi una portavoce della Commissione Europea rispondendo ai giornalisti. Nel frattempo a Mosca il portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov, ha detto che ci saranno “inevitabili conseguenze dannose in seguito a qualsiasi azione contraria a questi accordi”.

Certo, premesso che il se è ormai sostanzialmente superato, è da vedere il come. Trump ha infatti un ampio portafoglio di opzioni. Una delle possibilita’ –  definita ‘opzione nucleare’ – e’ che Trump decida di imporre di nuovo in blocco tutte le sanzioni contro l’Iran, da quelle sull’export di petrolio a quelle specifiche contro societa’ o individui. Cio’ comporterebbe una violazione dell’intesa da parte degli Usa, perche’ le sanzioni devono rimanere congelate se l’Iran ne rispetta i termini, e quindi una uscita di Washington dall’intesa. E pazienza per Trump che non solo l’Iaea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) nell’ultimo rapporto dello scorso febbraio ha certificato che l’accordo e’ stato onorato ma che lo ha fatto anche il nuovo segretario di Stato Usa, Mike Pompeo.

Invece di ritirare sic et simpliciter gli Usa dal ‘Nuke Deal’, Trump potrebbe invece decidere di non certificare l’accordo, come e’ chiamato a fare ogni 90 giorni, e il prossimo termine scadra’ il 12 maggio. E’ quella che viene definita de-certificazione. Dopo la firma del Jcpa del 2015 il Congresso ha infatti imposto l’ “Iran Nuclear Agreeement review act” (Inara), una legge nazionale che assicura alle Camere Usa un potere di verifica sull’intesa. La decisione sul da farsi passerebbe dunque al Congresso che avrebbe 60 giorni di tempo per stabilire se intervenire con nuove sanzioni, non fare nulla, chiedere dei correttivi sul processo di certificazione o emendare l’accordo nucleare: questo darebbe un pò di tempo, mantenendo una pistola puntata. Ma non e’ l’unica alternativa al ritiro degli Usa dal ‘Nuke deal’. Il presidente potrebbe anche certificare l’accordo ma chiedere delle modifiche, scongiurando l’isolamento e consentendo agli alleati europei di lavorare a possibili aggiustamenti. E Trump potrebbe infine de-certificare l’accordo ma senza reclamare l’immediata reintroduzione delle sanzioni, il che darebbe 5 mesi per cercare un compromesso. Molte opzioni, una sola decisione. Appuntamento alle 20.