Roma 17 maggio 2018 _ Colpo di scena. Grazie all’accordo di Montreal – il più grande successo della diplomazia ambientale _ le emissioni dei clorofluorocarburi (CFC), i gas che danneggiano lo stato di ozono, sono stati dal 1990 stabilmente in lenta, progressiva discesa. Adesso il gruppo di lavoro di Stephen Montzka della NOAA, l’agenzia americana che si occupa di ambiente ed oceani, ha scoperto che dal 2013 le emissioni di CFC11 hanno ripreso a crescere nell’emisfero settentrionale. Globalmente le concentrazioni in atmosfera sono ancora in discesa ma il tasso di discesa si è ridotto. Un inatteso giallo.
Tenendo conto dei movimenti delle masse d’aria verso i luoghi in cui sono state effettuate le misurazioni di CFC-11, Montzka e i suoi colleghi attribuiscono le rinnovate emissioni all’Asia orientale _ in particolare tra la Cina, la Mongolia e la penisola coreana _ e stimano che queste emissioni ammontino a circa 13 gigagrammi (13 mila tonnellate NDR) di CFC-11 all’anno (con un aumento del 25% rispetto agli anni precedenti) dal 2013. Tuttavia, l’incertezza sull’entità desunta delle nuove emissioni potrebbe raggiungere il 50%, principalmente a causa della difficoltà di capire come viene trasportata l’aria tra la stratosfera e la troposfera. Puo essere maggiore o minore, ma indubbiamente l’aumento c’è.
Su questo i ricercatori della NOAA hanno pubblicato uno studio (che potete trovare QUI) sulla autorevole rivista scientifica Nature. “Faccio questo lavoro di monitoraggio da 27 anni _ ha dichirato Motzka al Guardian _ e questa è la cosa più sorprendente che abbia mai visto”, ha detto. “Ne sono rimasto scioccato“. Perchè sta succedendo? Apparentemente non ci sono cambiamenti nella dinamica dell’atmosfera, che può aver contato ma da sola nn spiega quanto sta accadendo, e non pare che si neppure un aumento della distruzione di edifici o di vecchi condizionatori che contengano il gas. Anche l’ipotesi che il gas sia un sottoprodotto di una altra lavorazione (sottoprodotto non riciclato come dovrebbe) viene scartata da Montzka perchè le quantità sono troppo grandi. “E quindi _ osserva Montzka _ l’ipotesi più probabile è che qualcuno stia davvero emettendo CFC11 in atmosfera. Qualcuno che non pensa di essere notato e vuole risparmiare usando il CFC11 che è meno costoso da produrre del gas che lo ha sostituito e che non danneggia lo strato di ozono. Se le emissioni terminassero rapidamente, il danno sarebbe assorbibile, ma se continueranno questo potrebbe ritardare di una decina di anni la completa ripresa dello stato di ozono”.
“Il CFC-11 _ spiega Nature _ appartiene alla famiglia dei composti clorofluorocarburi (CFC). I CFC sono prodotti chimici di sintesi altamente stabili utilizzati in varie applicazioni a partire dagli anni ’30, ad esempio come propellenti in spray, solventi e refrigeranti. All’inizio degli anni ’70, il chimico britannico James Lovelock e i suoi colleghi furono i primi a misurare l’abbondanza di CFC nell’atmosfera e a rendersi conto che queste sostanze erano presenti ovunque sia nell’emisfero settentrionale che in quello meridionale, nonostante le loro fonti si trovassero solo nell’emisfero settentrionale. Questa scoperta ha portato alla convinzione che i CFC emessi in atmosfera possano essere distrutti naturalmente solo nella stratosfera, in un processo che rilascia atomi di cloro. Ognuno di questi atomi sarebbe in grado di distruggere molte molecole di ozono in cicli guidati da catalizzatori, mettendo così in pericolo lo strato di ozono , che protegge la vita sulla Terra dalle radiazioni ultraviolette nocive“.
“La scoperta del “buco” dello strato di ozono sull’Antartide nel 1985 _ prosegue Nature _ ha dimostrato che questa ipotesi non solo è corretta, ma è anche molto più minacciosa di quanto si pensasse. Ha stimolato le attività di ricerca a comprendere i motivi per cui è stata riscontrata una riduzione così grave dell’ozono nella sola Antartide e ha portato ad un’azione politica per limitare l’uso dei CFC nell’ambito del protocollo di Montreal nel 1987. La consapevolezza che una più grave riduzione dell’ozono si diffonderebbe ulteriormente in tutto il mondo se i CFC continuassero ad essere rilasciati nell’atmosfera, insieme ai progressi tecnologici che hanno reso possibile la sostituzione dei CFC, hanno aiutato i governi a rendere più severe le normative sui CFC e, in ultima analisi, a vietarne la produzione attraverso diverse modifiche al protocollo. Poiché la distruzione dei CFC nella stratosfera è un processo lento, la loro rimozione dall’atmosfera richiederà molti decenni. Ma come risultato delle azioni determinate dal protocollo di Montreal, le concentrazioni di CFC nell’atmosfera hanno raggiunto il picco a metà degli anni ’90 e da allora sono costantemente diminuite”.
Finora, fino al 2012. Adesso c’è qualcuno che in Asia sta facendo il furbo e per scovarlo servono misurazioni su scala regionale e poi una ricerca nel paese responsabile. Un lavoro del quale dovrà occuparsi l’Ozone secretariat dell’Unep e poi il Meeting of the Parties (MOP) della covenzione di Montreal.
E sul tema è già intervenuto l’Ozone secretariat dell’UNEP, con una nota ufficiale, che conferma la gravità del problema. “Sebbene gli attuali modelli scientifici dimostrino che lo strato di ozono è sulla buona strada per ricostituirsi entro la metà del secolo _ osserva _ il continuo aumento delle emissioni globali di CFC-11 metterà a rischio tali progressi. Il comitato di valutazione scientifica del Protocollo di Montreal, che comprende gli autori del rapporto, completerà la sua valutazione quadriennale entro la fine dell’anno e ci aspettiamo che questi risultati siano presentati alle parti del Protocollo di Montreal, che li esamineranno attentamente e li affronteranno“.
“E’ importante notare _ prosegue _ che questi risultati evidenziano anche l’efficacia del Protocollo di Montreal, delle sue istituzioni e dei suoi meccanismi, con la scienza al centro. Finché gli scienziati rimarranno vigili, la nuova produzione o emissione di sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono non passerà inosservata. Se tali emissioni continueranno senza sosta, potrebbero rallentare il ripristino dello strato di ozono; è quindi fondamentale fare il punto della situazione, individuare le cause di tali emissioni e adottare le misure necessarie”.
La caccia è aperta.
Alessandro Farruggia
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