Alessandro Farruggia
Roma 16 maggio 2018 – Sui rifiuti nucleari il nostro Paese usa la politica dello struzzo. Neghiamo il problema. Lo rinviamo. Nel caso migliore promettiamo, come ha fatto ripetutamente per quanto gli compete il ministro Calenda, ma poi come Paese non manteniamo.
E così _ la notizia è di oggi _ l’Italia finisce davanti alla Corte di Giustizia Ue sui rifiuti radioattivi. Lo ha deciso la Commissione Ue in quanto non è stata assicurata la piena conformità alla direttiva in materia, in particolare sul fronte della notifica dei programmi nazionali di gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi. Roma aveva già ricevuto un parere motivato, secondo passo di una procedura d’infrazione, lo scorso luglio, insieme ad Austria, Croazia, Repubblica ceca e Portogallo. Gli stati membri erano tenuti a notificare i programmi nazionali entro il 23 agosto del 2015. La direttiva Ue istituisce un quadro per garantire la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, chiedendo ai 28 provvedimenti adeguati in ambito nazionale per un elevato livello di sicurezza. L’italia non c’è riuscita. E cos+ domani la Commissione ci deferirà alla Corte di Giustizia Europea.
Nonostante i ripetuti annunci del ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda che anora l’11 maggio ha ribadito che quel giorno stesso l’avrebbe firmata, CNAPI, la carta dei siti potenzialmente adeguati per la costruzione del deposito nazionale, una carta che è solo il primo passo del percorso concertato con le amministrazini locali che poterà alla scelta del sito, non viene pubblicata perchè serve il “concerto” con gli altri ministeri e, nonostante Calenda, il Palazzo _ presidenza del Consiglio e ministero dell’Ambiente in primis ma non solo _ ha paura delle proteste dei territori (che sarebbero certamente cavalcate dall’ M5S e non solo) e preferisce mettere metaforicamente lo sporco (radioattivo) sotto il tappeto. Tenerlo cioè in siti provvisori intrinsecamente meno sicuri di quello definitivo (e pazienza per le popolazioni) o all’estero (a carissimo prezzo e non indefinitamente). Non è che senza il sito definitivo i rifiuti radioattivi che già sono sul nostro territrrio (frutto dell’esercizio delle centrali nucleari che avevamo e delle attività mediche e industiali) scompariranno magicamente: resteranno disseminati per l’Italia, esattamente dove sono stati stoccati negli anni. Ma niente concerto, niente carta. Niente carta, niente sito per il deposito. E complimenti per il senso dello Stato.
Scrivevamo il 19 aprile: “Lo scorso 1 marzo 2018, l’Ispra aveva consegnato al ministero dell’Ambiente e al ministero dello Sviluppo Economico l’aggiornamento della proposta di carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), come risultante dall’istruttoria di verifica e validazione condotta sulla base di alcune modifiche apportate dalla Sogin alla proposta di Cnapi del 2015, a seguito di alcuni aggiornamenti intervenuti nei database di riferimento utilizzati per l’elaborazione della proposta stessa. Lo scorso 21 marzo sono pervenute all’Istituto alcune richieste di chiarimenti formulate dallo stesso ministero dell’Ambiente. Il 29 marzo l’Ispra ha provveduto a riscontrare dette richieste confermando la validità della proposta di Cnapi in precedenza consegnata e chiudendo, con ciò, le proprie valutazioni tecniche al riguardo. E l’11 aprile il ministero dell’Ambiente ha approvato la Cnapi passandola al ministero dei Beni Culturali per la sua valutazione e la firma del ministro Franceschini. Ma la carta resta ancora ben chiusa nei cassetti che contano. E la sua uscita prima della nascita di un nuovo governo è sempre più improbabile”. E infatti non è successo nè prima nè dopo. E assai probabilmente non accadrebbe neppure con un govermo pentastellati-leghisti. Ricomincerebbe l’istruttoria per gli inevitabili “approfondimenti” e si perderebbero altri anni. Saremmo nel frattempo condannati dalla Corte di giustizia europea _ e il conto lo pagherebbero tutti i cittadini _ ma la politica eviterebbe così di fare scelte scomode ma necessarie che fanno perdere voti. Anche questa, tristemente, è l’Italia.
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