gasTra gli effetti secondari della crisi ucraina uno dei più inattesi è l’aver messo uno stop all’adozione di una più ambiziosa politica climatica dell’Unione Europea. Il Consiglio Europeo di primavera doveva avere come piatto forte il nuovo pacchetto energia/clima che doveva stabilire i nuovi obiettivi comunitari per il 2030 e invece le conclusioni sono a dir poco deludenti.

La proposta fatta dalla Commissione  prevedeva un target di riduzione delle emissioni del 40% (il target al 2020, che sarà raggiunto, è del 20%) e una quota di rinnovabili  del 27% ed era appoggiata da tredici paesi  (tra i quali Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Olanda) e combattuta da Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria (paesi legati al carbone e quindi in difficoltà nell’ottenere forti riduzioni delle emissioni), che chiedevano un rinvio. Una adozione di un target del 40% era possibile,  ma la crisi ucraina ha cambiato totalmente le carte in tavola, rinviando al vertice autunnale ogni decisione. E forse anche oltre dato che si parla di una deadline nel “primo trimestre 2015”.

L’Ue ha per adesso deciso che è prioritario «ridurre gli elevati tassi di  dipendenza energetica dell’Ue», e  in particolare per la riduzione della dipendenza dal gas russo. Che la dipendenza sia una emergenza è indubbio. Nel 2012 l’Ue ha speso 545 miliardi di euro per le importazione di energia, ingrassando oligarchi russi e sceicchi vari. Ma se suona campana a morto per il gasdotto South Stream, anche per le rinnovabili non è una buona notizia perchè la risposta più probabile  sarà una via libera allo shale gas che viene estratto  con tecniche di fratturazione idraulica che tanti dubbi ambientali hanno suscitato (e ne hanno provocato il bando in Francia). In America dove lo shale gas è in pieno boom, i suoi mentori sottolineano come proprio grazie allo shale le emissioni statunitensi di gas serra sono ai livelli più bassi dal 2007. Ma ancora troppo poco sappiamo dello shale gas (sia per gli impatti sulla falda e la stabilità geologica che per le emissioni fuggitive di metano) per dire grazie a Vladimir Putin. 

Di certo la politica climatica Ue è congelata dalla paura dell’orso russo. Se ne riparlerà con la presidenza italiana. Per Matteo Renzi è una patata bollente, ma anche una opportunità per “cambiare verso” all’Europa e spingerla — parafrasando il titolo del documento dei 13 paesi favorevoli ai nuovi target — “verso una crescita verde”. Può far finta di nulla e ignorare il tema o tentare di trovare una quadra, ma tenga presente che non sempre la scelta più facile è la migliore. Anzi.