L’incontro tra Kim Jong un e Moon Jae-in è significativo ed è un passo in avanti non grazie, ma nonostante Trump. Va però accolto con misura, è solo un primo passo nella direzione giusta. Una dichiarazioni di intenti ai quali devono seguire i fatti e gli accordi. E qui inizia il difficile.
La svolta nella crisi coreana, una svolta tuttora potenziale, è figlia della ferrea volontà del presidente sudcoreano che ha voluto cogliere nella crisi una opportunità diplomatica per riallacciare i fili del dialogo con il regime nordcoreano. Ma non meno è figlia del fatto che per la prima volta la Cina ha davvero partecipato alle sanzioni, mettendo così in crisi la Corea del Nord. E’ quindi figlia della disperata determinazione della nuova presidenza sudcorena di trovare una via d’uscita ed evitare la guerra e delle ambizioni strategiche cinesi, che hanno usato il dilettantismo di Trump in poltica estera come strumento per le proprie ambizioni.
Kim da parte sua ha svoltato verso un approccio dialogante da un lato perchè oggettivamente pressato dalle sanzioni, dall’altro perchè, raggiunto uno status di potenza nucleare che gli garantisce la sopravvivenza, vede come una opportunità una penisola coreana denuclearizzata sì ma anche sostanzialmente libera dalla presenza militare americana. Un interesse questo che condivide con la Cina, che potrebbe essere _ se l’accordo passerà dalle generiche parole ai fatti _ il vero vincitore strategico della partita in atto. Kim ha svoltato sì perchè aveva la pistola alla testa, ma la pistola era cinese.
E’ quello che credono alcuni analisti come TJ Pempel, professore di scienze poltiche ed esperto di estremo oriente all’Università della California-Berkeley, ha detto al britannico “The Independent” che nella positiva evoluzione della crisi coreana “Trump merita un po ‘di credito, ma non tanto quanto lui se ne sta prendendo. L’adesione della Cina alle sanzioni è stata molto più importante”. Lo stesso Donald Trump ha implicitamente riconosce di non essere stato il catalizzatore per l’accordo, twittado venerdì: “Vi prego di non dimenticare il grande aiuto che il mio buon amico, il presidente cinese Xi [Jinping], ha prestato in particolare al confine con la Corea del Nord. Senza di lui sarebbe stato un processo molto più lungo e duro!”. E infatti.
L’ondivaga poltica di Trump con la Corea, va detto,rischia anche di mandare segnali devastanti a chi vuole rompere la non proliferazione nucleare.
Scrive Max Fisher sul New York Times: “”Impegnandosi a violare un accordo nucleare (quello con l’Iran. NDR) mentre entra in trattative per un altro, Trump rischia di inviare il messaggio che le promesse americane sono vuote, dando agli avversari pochi motivi per fare concessioni. Punendo l’Iran anche dopo aver congelato il suo programma nucleare, ma accettando di incontrare il leader della Corea del Nord pochi mesi dopo aver realizzato molte delle sue ambizioni nucleari, Trump potrebbe inavvertitamente trasmettere il messaggio che gli stati canaglia ottengono più risultati sfidando e minacciando gli Stati Uniti.” “La Corea del Nord _ prosegue Fisher _ ha proseguito con i suoi programmi di armamento, testando dispositivi nucleari e missili a lungo raggio che sembrano in grado di colpire le principali città americane. Ha ottenuto ciò che nessun paese ha ottenuto da quando la Cina ha sviluppato il proprio programma, mezzo secolo fa: un deterrente nucleare contro gli Stati Uniti. Per bloccare o invertire questi guadagni, Trump ha minacciato e imposto sanzioni alla Corea del Nord, ma per la maggior parte le sue risposte non sono state così diverse da quelle delle amministrazioni precedenti. La sua principale rottura con l’ortodossia diplomatica è stata quella di concordare un incontro diretto con il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un. Il Nord ha a lungo cercato una riunione di questo tipo per apparire un pari delle grandi potenze”. “La lezione _ aggiunge_ può essere che non ci si può fidare necessariamente degli americani per mantenere i loro impegni – Trump ha rotto o si è ritirato da molti altri accordi internazionali – ma gli Stati Uniti possono essere, come ha dimostrato il signor Kim, costretti e dissuasi. Smonta o congeli un programma nucleare (come fatto dall’Iran. NDR) in base alle assicurazioni fornite dagli Stati Uniti, e quelle assicurazioni potrebbero non essere mantenute. Acceleri il tuo programma in aperto spregio degli accordi internazionali, e il presidente americano si offrirà di incontrarti”.
“Gli Stati Uniti _ hanno scritto a inizio aprile Victor Cha e Katrin Fraser Kats su Foreign Affairs _ devono andare oltre le dichiarazioni di massima e invitare Pyongyang a ribadire gli impegni di denuclearizzazione assunti durante i colloqui a sei nel 2005 e nel 2007. I documenti che delineano questi impegni sono l’unico luogo in cui la Corea del Nord è mai stata costretta a scaricare le sue formulazioni vaghe e non vincolanti su una “penisola libera dal nucleare” a favore di impegni specifici e scritti per “abbandonare tutte le armi nucleari e i programmi nucleari esistenti””. Le chiacchere stanno a zero. Servono fatti concreti.
Verranno? In molti sono assai prudenti. Scrive Michael O’Hanlon senior fellow di Brooking Insitution: “C’è generalmente una tentazione tra gli strateghi, esperti di intelligence e diplomatici, condita da molte delusioni precedenti con la Corea del Nord, a vedere le grandi notizie come quelle di oggi attraverso un prisma negativo. E hanno ragione ad essere molto cauti. Il tono e il linguaggio delle dichiarazioni del vertice intercoreano del 27 aprile 2018 evocano la memoria di simili momenti di speranza del passato, come nel 1994 e nel 2007, nessuno dei quali è durato. Il leader nordcoreano Kim Jong-un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in, nella loro Panmunjom Declaration, hanno parlato vagamente di “denuclearizzazione” in un modo che chiarisce poco faccia poco per rispondere alle ovvie domande su come questa potrebbe realmente accadere. La Corea del Nord non metterà sul piatto tutte le sue armi e infrastrutture nucleari al prossimo summit tra Kim e Trump. I nordcoreani vedono il programma come un’eredità chiave del padre e del nonno di Kim, e quindi come un gioiello della corona. Kim considera il suo arsenale una polizza assicurativa essenziale contro le sofferenze subite da Saddam Hussein, Moammar Gheddafi e dalla leadership talebana in Afghanistan nel 2001, nessuno dei quali aveva l ‘arma atomica, e nessuno dei quali è sopravvissuto alla guerra con gli Stati Uniti”. “L’interpretazione più probabile _ prosegue O’Hanlon _ è che Kim, riconoscendo che le sanzioni economiche collettive del mondo contro il suo regime stanno cominciando a mordere, sta cercando di alleggerire l’applicazione di tali sanzioni. Con la sua offensiva di fascino del 2018, spera di indebolire la determinazione di paesi come la Corea del Sud, la Cina e la Russia a rispettare i loro impegni precedenti. Spera probabilmente che anche senza rinunciare ad alcuna capacità nucleare, e pur continuando ad espandere il suo arsenale nucleare, possa ridurre la stretta economica del suo paese”.
Se così davvero sarà non funzionerà, e saremo daccapo. Ma all’approccio pessimistico di O’Hanlon, se ne contrappongono altri che puntando su un mix virtuosodi pressione poltica economica e diplomatica vedono una prospettiva positiva. Un mix nel quale gli Stati Uniti e la Cina in primis dovrebbero continuare a mantenere alta la pressione su Kim, supportare pienamente Moon nella trattativa e aprire un tavolo a quattro (le due coree, Usa e Cina,) o, come in passato, a sei (le due coree, la Cina, il Giappone, la Russia e gli Stati Uniti ) per arrivare a una denuclearizzazione totale della penisola e alla firma di un accordo di pace tra le due coree nel quale tutti gli attori si sentano garantiti. Ci vorranno magari due anni di negoziazione ma quella è la strada.
Così la pensano molti osservatori della regione. “Perché il trattato di pace sia una salvaguardia efficace ci deve essere più di un accordo bilaterale”, detto a The Atlantic Jeong Se Hyun, ministro per l’unificazione della Corea del Sud dal 2002 al 2004 ed ex inviato in Corea del Nord. “La Cina deve essere una firmataria, oltre agli Stati Uniti, Corea del Sud e Corea del Nord”, che, con l’eccezione della Corea del Sud, sono tutti firmatari dell’attuale armistizio. “Con quel meccanismo che protegge la Corea del Nord dall’aggressione degli Stati Uniti, la Corea del Nord accetterà probabilmente di consegnare le proprie armi nucleari”. La strada è stretta, ma i primi passi sono incoraggianti. Se potranno essere fruttuosi lo vederemo tra qualche mese. Ma niente trinfalismi, sono appena i primi.
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