Alessandro Farruggia

ROMA, 15 AGOSTO _ “Disporremo la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia: non possiamo attendere i tempi della giustizia penale, abbiamo l’obbligo di far viaggiare in sicurezza. Non c’è dubbio che ad Autostrade toccassero onere e vincolo di manutenzione del viadotto” ha detto il premier Giuseppe Conte al termine del consiglio dei ministri alla Prefettura di Genova.

Non è ancora chiaro se Conte parla di revoca della concessione della A10 ad Autostrade per l’Italia o la radicale revoca di TUTTE le concessioni autostradali ad Autostrade per l’Italia. In entrambi i casi, anche il primo, sarà una sfida epocale perchè Autostrade per l’Italia usarà ogni strumento legale per difendersi e la battaglia dello Stato per riprendersi la gestione di quello che è suo sarà al limite del possibile. Lo Stato ha margini strettissimi.  Pare a molti, sul piano legale, quasi una missione impossibile.

Ma questa è l’ora di scelte coraggiose. Premetto: da parte mia nessuna indulgenza con il governo, o scelta di parte. Se si arriva a questo è anche per la voglia di trovare un colpevole e far dimenticare le reponsabilità di chi come M5S ha sempre remato contro la creazione di infrastrutture come la Gronda, la bretella autostradale che teoricamente avrebbe permesso la chiusura per rifacimento del ponte Morandi.

Eppure che lo Stato si riprenda (o tenti di riprendersi) integralmente (affidandolo ad Anas) o in parte (radicale ridiscussione delle concessioni con vincoli assai più stringenti) la gestione delle autostrade dopo la privatizzazione del 1999, che ritengo fu una scelta dissennata motovata da logiche economiche di corto respiro e dall’assenza di una visione strategica, è a mio avviso una scelta giusta, nell’interesse dei cittadini, pur se penalizzerà pesantemente coloro che hanno azioni della società.

La battaglia ha un senso sia per garantire pienamente la sicurezza delle autostrade, sia per riportare le tariffe a livelli ragionevoli,  sia per un interesse puramente economico perche le autostrade _ che sono un bene pubblico_ hanno un enorme flusso di cassa e fanno utili.

Se si è arrivati a questo, va pure detto, è colpa anche di come i gestori autostradali, o almeno alcuni di loro, si sono comportati in questi anni. Concessionarie di servizi pubblici, di opere in larghissima parte costruite con fondi pubblici e già ampiamente ripagate dagli italiani con i pedaggi , hanno guardato troppo al profitto.

Basti ricordare quanto sostenuto nell’audizione del 11 giugno 2015 davanti alla commissione Ambiente e Lavori Pubblici della Camera dal capo servizio di struttura ecomica di Bankitalia, Paolo Sestito, che non è certo un un esponente NIMBY.  “Le vigenti concessioni, tutte rinnovate senza passaggio per una gara pubblica _ disse Sestito _ si caratterizzano per durate residue estremamente lunghe. La dinamica effettiva delle tariffe ha superato quella dell’inflazione e consentito livelli elevati di redditività ai concessionari. Ogni chilometro di autostrada a pedaggio genera annualmente in Italia ricavi medi per oltre 1,1 milioni di euro: 300 mila euro destinati allo Stato e 850 mila alle concessionarie. Queste ultime sono anche i principali beneficiari dei ricavi da sub-concessioni e da altre attività commerciali svolte sulla rete autostradale.Negli ultimi venti anni i ricavi delle concessionarie sono più che raddoppiati, passando da 2,5 miliardi di euro nel 1993 a oltre 6,5 miliardi nel 2012. Tale crescita è prevalentemente da attribuire alla dinamica delle tariffe unitarie, cresciute più della dinamica generale dei prezzi”. E infatti: dal 2000 al 2017 l’inflazione è stata del 34,4%, l’aumento delle tariffe del 46,8% .

In altre parole le concessionarie hanno fatto un sacco di soldi e senza gare pubbliche che prevedessero alla fine della concessione, una concessione di durata ragionevole, un ritorno dell’opera allo Stato. E senza che ci fossero obblighi chiari di investimento nelle infrastrutture stesse. Non a caso le concessioni sono state per decenni _ inconcepibile! _ secretate e solo a febbraio il ministro Delrio le rese pubbliche. Potete (finalmente) trovarle QUI nel sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.  Mancano solo alcuni allegati, ancra secretati. Ma il grosso è già pubblico.

Autostrade per l’Italia _ la concessionaria più importante e nel mirino oggi per il crollo di Genova _ sostiene però di aver fatto investimenti cospiqui. Che si siano stati, è indubbio, sul cospiqui si può discutere. Il problema è: sono anche stati adeguati a quanto incassato? Perchè delle due l’una, o sono stati inadeguati o i pedaggi sono stati troppo alti.

Vediamo cosa scrive Autostrade per l’Italia nella sua relazione finanziaria 2017. I ricavi operativi del 2017 sono pari a 3.621 milioni di euro e si incrementano di 94 milioni dieuro rispetto al 2016 (3.527 milioni di euro). “Ricavi da pedaggio” sono pari a 3.321 milioni di euro, con un incremento di 99 milioni di euro rispetto al 2016 (3.222 milioni di euro). Il Margine operativo lordo (EBITDA), è pari a 2.308 milioni di euro, si incrementa di 65 milionidi euro rispetto al 2016 (2.243 milioni di euro). “L’utile dell’esercizio pari a 1.042 milioni di euro, si incrementa di 112 milioni di euro (+12%) rispetto al 2016 (930 milioni di euro); su base omogenea l’utile dell’esercizio si incrementa di 53 milioni di euro (+6%) rispetto al 2016″. Quindi agli azionisti va poco più di un MILIARDO di euro netto. 
A fronte di 1 miliardo di utili, quanto ha investito Autostrade per l’Italia nella rete? Per interventi di potenziamento e ammodernamento (interventi convenzione 1997 e atto aggiuntivo 2002) Autostrade per l’Italia ha speso nel 2017 517 milioni di euro, a fronte dei  677 del 2016. Gli inventimenti complessivi in beni operativi sono ammontati a 556 milioni di euro. Quindi poco sopra il 50% dell’utile netto. A questo vanno aggiunti gli interventi effettuati da Autostrade per l’Italia e dalle altre concessionarie controllate italiane nel corso del 2017 per manutenzione (312 milioni di euro), sicurezza e viabilità della rete in concessione(esclusi gli interventi su aree di servizio) ammontano a 444 milioni di euro di cui 400 milioni di euro sono stati realizzati da Autostrade per l’Italia. Sommando potenziamento, ammodernamento, manutenzione, sicurezza e viabilità si arriva 961 milioni euro investiti nel 2017.  Quindi per un euro che finisce in un anno nelle tasche degli azionisti, 96 centesimi sono stati investiti nella rete.
E allo Stato quanto va? Gli oneri fiscali sono pari a 380 milioni di euro nel 2017, e si incrementano di 84 milioni di euro. rispetto al 2016. Gli “oneri concessori” ammontano a 442 milioni di euro (431 milioni di euro nel 2016) ed includono, oltre le menzionate integrazioni del canone di concessione, i canoni concessori relativi ai ricavi da pedaggio ed ai contratti di subconcessione. Totale,  allo Stato vanno 822 milioni di euro.
Ricapitolando, tra potenziamento, ammodernamento, manutenzione, sicurezza e viabilità e oneri fiscali e canoni concessori si arriva a 1.783 milioni di euro: come dire circa il 53% di quanto incassato con i pedaggi. Puà sembrare molto, ma non basta.
Ripetiamo, delle due l’una, o gli investimenti sono stati inadeguati o se sono stati adeguati _ ma quanto successo a Genova e in molte altre occasioni grida il contrario _ i pedaggi sono stati troppo alti.
In entrabi i casi, è una distorsione che non è nell’interesse del Paese, e, senza guerre ideologiche, sarebbe opportuna una correzione di rotta per riportare quantomeno il pieno controllo della gestione delle autostrade al Pubblico. Se Autostrade per l’Italia se ne facesse una ragione, pagasse integralmente la ricostruzione del ponte Morandi e trattasse una radicale ridiscussione delle concessioni, potrebbe uscirne con meno danni di quelli che probabilmente le verrebbero da uno scontro frontale. Ma dubito che accadrà.
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