Alessandro Farruggia

ROMA, 9 febbraio 2019 –  Il titolo è fulminante: il risveglio del petrolio. Con tanto di immagine di copertina in  stile film horror. Il titolo – che ricorda quello del film/documentario “A crude awakening – the oil crash” che nel 2006 prefigurava, sbagliando, l’imminente picco della produzione petrolifera _ all’Economist piace molto (lo fece già nel 2010 e nel 2004…) ma è sostanzialmente giusto: la domanda di energia aumenta inesorabilmente e quella di petrolio non cessa di crescere.

“I redditi crescenti e l’incremento della popolazione mondiale di 1,7 miliardi di persone, le quali si insedieranno principalmente nelle aree urbane delle economie in via di sviluppo _ scriveva del resto l’Agenzia mondiale per l’energia nel rapporto WEO 2018 _  determinano un aumento della domanda energetica mondiale di oltre un quarto da qui al 2040“. L’Opec in uno studio del 2017 stima che al 2040 il petrolio coprirà il 27% del mix energetico e il gas naturale il 25%. Come dire che al 2040  petrolio e gas copriranno ancora il 52% della domanda. E il problema è che gas e petrolio, anche se non tanto quanto il carbone, significano emissioni di gas serra. Tanta, tanta Co2.

Il che sembra un paradosso proprio quando il 2018 è stato il quarto anno più caldo , di conseguenza aumenta la consapevolezza dei cambiamenti climatici e le rinnovabili assistono ad una crescita spettacolare.

“In America, la più grande economia del mondo e il suo secondo maggiore inquinatore _ scrive l’Economist _ il cambiamento climatico sta diventando difficile da ignorare. Le condizioni meteorologiche estreme sono diventate sempre più frequenti. In novembre gli incendi hanno bruciato la California; la scorsa settimana Chicago era più fredda di parti di Marte. Gli scienziati stanno dando l’allarme con maggiore urgenza e la gente ha notato che il 73 per cento degli americani intervistati dall’Università di Yale alla fine dell’anno scorso ha detto che il cambiamento climatico è reale. La sinistra del Partito Democratico vuole mettere un “Green New Deal” al centro delle elezioni del 2020. Mentre le aspettative cambiano, il settore privato mostra segni di adattamento. L’anno scorso circa 20 miniere di carbone sono state chiuse. I gestori di fondi stanno spingendo le imprese a diventare più verdi. Warren Buffett, che non è un fanatico delle mode, sta puntando 30 miliardi di dollari sull’energia pulita e Elon Musk progetta di riempire le autostrade americane con auto elettriche”. Tutto bene? non proprio.

“Eppure, in mezzo al clamore _ osserva l’Economist _ c’è un’unica, stridente verità. La domanda di petrolio è in aumento e l’industria energetica, in America e nel mondo, sta pianificando investimenti multimilionari per soddisfarla. Nessuna azienda incarna questa strategia meglio della ExxonMobil, il gigante che i rivali ammirano e che gli attivisti verdi amano odiare. Come spiega il nostro briefing, la ExxonMobil prevede di pompare il 25% in più di petrolio e gas nel 2025 rispetto al 2017. Se il resto del settore persegue una crescita anche modesta, le conseguenze per il clima potrebbero essere disastrose“.

Non serve aggiungere altro. Servirebbe la politica. Una politica capace di visione di medio lungo-termine. Ma quella latita ed è destinata in tema di clima a fare globalmente sempre troppo poco, troppo tardi.