Alessandro Farruggia

ROMA _ Un adulto su otto è obeso, un abitante del nostro pianeta su nove soffre la fame, ed entrambi i dati sono tristemente in aumento. Gli adulti obesi sono passati dall’11.7% della popolazione mondiale nel 2012 al 13.2% del 2016 e sono 672 milioni. Gli affamati sono passati dagli 805 milioni dal 2012 ai 783 milioni del 2014 per poi salire per tre anni consecutivi agli 820 milioni del 2017. Evidenzia in maniera plateale le contraddizioni del modello di sviluppo globale l’edizione 2018 dello Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo (che potete trovare in versione integrale QUI) realizzato dalle agenzie delle Nazioni Unite. E  sottolinea in maniera chiara l’impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza alimentare.

“I segnali allarmanti di aumento dell’insicurezza alimentare e gli alti livelli di diverse forme di malnutrizione sono un chiaro avvertimento che c’è ancora molto lavoro da fare per essere sicuri di “non lasciare nessuno indietro” sulla strada verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile in materia di sicurezza alimentare e miglioramento dell’alimentazione”, avvertono nella prefazione congiunta al rapporto i responsabili dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD), del Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF), del Programma Alimentare Mondiale (WFP) e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). “Se vogliamo raggiungere un mondo senza fame e malnutrizione in tutte le sue forme entro il 2030, è imperativo accelerare e aumentare gli interventi per rafforzare la capacità di recupero e adattamento dei sistemi alimentari e dei mezzi di sussistenza delle popolazioni in risposta alla variabilità climatica e agli eventi meteorologici estremi” hanno affermato i responsabili delle cinque organizzazioni delle Nazioni Unite autrici del rapporto. I cambiamenti climatici infatti sono una delle variabili chiave. Il rapporto annuale delle Nazioni Unite ha infatti rilevato che la variabilità del clima che influenza l’andamento delle piogge e le stagioni agricole, oltre ad estremi climatici come siccità e alluvioni, sono tra i fattori chiave dietro l’aumento della fame, insieme ai conflitti e alle crisi economiche. “

“I cambiamenti climatici _ osserva la FAO _ stanno già minando la produzione di importanti colture come grano, riso e mais nelle regioni tropicali e temperate e, senza costruire resilienza climatica, si prevede che la situazione peggiorerà con l’aumentare delle temperature. Le analisi del rapporto mostrano che la prevalenza e il numero di persone sottonutrite tendono ad essere più alti nei paesi altamente esposti agli eventi climatici estremi. La sotto-nutrizione è ancora più alta quando l’esposizione ad eventi climatici estremi si unisce ad un’alta percentuale della popolazione che dipende da sistemi agricoli altamente sensibili alle precipitazioni e alla variabilità delle temperature”.

Nei venti anni (1996-2016) presi in considerazione nella analisi qui presentata _ osserva il rapporto _ , sia la frequenza che la frequenza e intensità dell’esposizione dei paesi agli estremi climatici sono aumentati. Di conseguenza, sempre più paesi sono vulnerabile al rischio di insicurezza alimentare e di malnutrizione. Dove la produzione agricola, alimentare i sistemi e i mezzi di sussistenza sono vulnerabili al clima variabilità ed estremi, i paesi si trovano di fronte al più grande rischio di insicurezza alimentare e malnutrizione. Anche se la variabilità climatica e gli estremi non sono l’unico fattore che determina gli aumenti osservati in fame nel mondo, l’analisi indica che sono importanti per alcuni paesi. Essi inoltre esacerbano altri fattori di insicurezza alimentare e la malnutrizione, come i conflitti, i conflitti, i rallentamenti e povertà”.

Le anomalie della temperatura sulle aree di coltivazione agricola _ prosegue l’agenzia _ hanno continuato a essere superiori alla media nel periodo 2011-2016, portando a periodi più frequenti di caldo estremo negli ultimi cinque anni. Anche la natura delle stagioni delle piogge sta cambiando, inizio tardivo o precoce delle stagioni piovose e ineguale distribuzione delle precipitazioni in una stagione. Il danno alla produzione agricola contribuisce a ridurre la disponibilità di cibo, con effetti a catena che causano aumenti dei prezzi alimentari e perdite di reddito che riducono l’accesso delle persone al cibo”.

“A livello regionale _ osserva il rapporto _  l’analisi rivela quanto segue  aumenti ancora maggiori dell’intensità del clima  estremi rispetto alle medie globali. Per esempio, il verificarsi di tre o più di tre o più  diversi tipi di estremi climatici estremi è aumentato del 160 per cento per i paesi dell’Africa, da 10 per cento nel 1996-2000 al 25 per cento in  2011–2016. Allo stesso modo, la percentuale di asiatici paesi che subiscono shock multipli più di quanto non lo siano stati è raddoppiato al 51% nel 2011-2016, in crescita rispetto a 23 per cento nel 1996-2000. L’intensità del clima estremi in America Latina e nei Caraibi anche più che raddoppiato (dal 26 per cento in 1996-2000 – 56,5% nel 2011-2016). Molti paesi – soprattutto in Africa e in Asia -. sono ora anche più esposti a fenomeni interstagionali la variabilità climatica, sia in termini di variazione precoce o di l’inizio ritardato delle stagioni di crescita, è diminuito durata dei periodi di crescita, o di entrambi. Semplici correlazioni mostrano livelli più alti di insicurezza alimentare in paesi con elevati livelli di esposizione agli shock climatici. e infatti i paesi con esposizione elevata hanno più che raddoppiato (315 milioni) il numero di persone malutrite“.

Di fronte a considerazioni come queste i Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite dovrebbero trarre le conseguenze e innanzitutto fare quello che hanno promesso di fare nella conferenza di Parigi, e andare ben oltre Parigi per disinnescare il cambiameto climatico, che, come dicono le agenzie Onu che si occupano di sicurezza alimentare, di agricoltura e di salute, oltre a impattare pesantemente sulla biodiversità, sull’economia, sulle condizioni di vita, ha un effetto anche sull fame nel mondo. Ma la scelte poltiche sono diverse. Dopotutto a soffrire è il Sud del mondo, mentre il Nord, i paesi ricchi,  agiscono al rallentatore e si preoccupano davvero solo se poi _ ma guarda un pò _  le migrazioni lo riguardano. Una ipocrisia senza pari. Anche perchè la risposta è semplicistica e inefficace, “chiudiamo le frontiere”, e non, come dovrebbe, “creiamo le condizioni per risolvere il problema ed evitare che centinaia di milioni di persone siano costrette a migrare”.