Dott. De Carlo,

un modenese come me e come lei è il presidente della Confindustria. L’altro giorno il personaggio in questione Giorgio Squinzi ha detto una frase che mi ha lasciato sbalordito. Non tanto per il suo contenuto quanto per il linguaggio usato. Un linguaggio preso a prestito dal più banale e vetusto sindacalismo.

Come lei sa, ha definito ‘’macelleria sociale’’ il piano di (timidi) tagli alla spesa pubblica varato dal governo Monti. Eppure a mio parere si tratta di poca cosa. Il bilancio dello Stato risparmierà poco più di quattro miliardi di euro. Ci vuole ben altro per scalare la montagna del debito pubblico.

Comunque è pur sempre un inizio. Ebbene Squinzi prima dice che appunto i tagli sarebbero dovuti essere più ampi e profondi, poi usa la definizione succitata. Gli ha dato di volta il cervello?

Giorgio B.

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No. Non gli ha dato di volta il cervello. Penso piuttosto che gli siano scappate le parole. E sa perché? Perché al suo fianco sedeva la signora Camusso e presumibilmente intendeva far sapere alla platea progressista di non essere un bieco capitalista. Anche lui ha un cuore, perbacco.

Già. Ma chi non ce l’ha? Chi non vorrebbe vedere superata la recessione, scongiurati i licenziamenti, le casse integrazione, i prepensionamenti? Il problema è che non ci sono più soldi nelle casse pubbliche. E se non ci sono dipende da tanti fattori, fra i quali – ecco cosa avrebbe dovuto dire Squinzi – anche l’irresponsabile rivendicazionismo dei sindacati italiani. Uno dei quali, la Cgil, è l’erede diretto delle assurdità proclamate a suo tempo da Lama.

Ricorda lo slogan del salario variabile indipendente? Ebbene quell’assurdità è all’origine del ritardo culturale del sindacalismo italiano. La Camusso probabilmente non la pensa più così. Probabilmente si è resa conto che per elargire un salario ci vuole un’azienda e che questa azienda debba fare profitti, creare cioè ricchezza perché altrimenti non c’è lavoro e dunque non c’è nulla da distribuire. E se così è, allora dovrebbe riconoscere che la spesa pubblica in Italia, oltre a essere spesso improduttiva, è anche economicamente insostenibile. Come notavano ieri Giavazzi e Alesina ingoia il 45 per cento del pil (negli Stati Uniti, tanto per darle un’idea è il 24).

La battagliera signora dovrebbe anche riconoscere che in queste condizioni l’economia reale, quella che fa prodotti e cerca di venderli, sarà sempre più compressa e mortificata da carichi fiscali e dunque sempre meno in grado di essere competitiva, soprattutto nei confronti della Cina, che produce a costi dieci volte inferiori. Invece che dice? Niente tagli.

E allora il povero Monti, pur fra tanti ritardi e contraddizioni, i soldi dove va a prenderli? Altre tasse: è la ricetta sicura per finire definitivamente sott’acqua.

Queste sono le considerazioni che Squinzi avrebbe dovuto fare. Ha preferito fare da megafono alla Camusso, che almeno fa il suo mestiere. E ne ha copiato anche il trito lessico degli anni di Lama. Che tristezza!