Gentile signor De Carlo,
Il Politburo cinese ha annunciato, il 28/9, che il congresso del partito si
terrà il prossimo 8 novembre. Un trafiletto a pagina 23 de La Nazione del 30/9
oggi riporta : la Cina definisce il congresso comunista, che ridisegnerà il
potere interno, “il vertice più importante del mondo come ricadute sul futuro”.

Penso sia un’affermazione condivisibile, ma è curioso che il vertice della
gerarchia del partito cinese venga deciso quando sarà ormai certo quale dei due
candidati alla presidenza degli Stati Uniti sarà il vincitore delle elezioni
americane.
Lascia perplessi anche lo scarso interesse che stampa e televisione
dedicano a capire e far capire il fenomeno Cina. Pochissime inchieste o
documentari o indagini serie che analizzino i fatti con lucidità : quando
guardiamo alla Cina ci sentiamo e, non solo da ora, in posizione subordinata,
sconfitti, perdenti, come se la sua forza millenaria ci abbia vinto
psicologicamente, prima che con il suo potenziale economico, creando in noi
occidentali un’atteggiamento di resa all’inevitabile.

Anche le truppe di Hitler,
dal 1939 al 1942/3 efficienti e decise, venivano viste come invincibili e
inarrestabili: non restava che arrendersi alla loro statura di semidei (eppure
sono stati, poi, sconfitti dai propri errori e dagli Alleati al prezzo di
milioni di morti su tutti i fronti).

Ai giornalisti spetta il ruolo di rifiutare
il filtro dell’ideologia o della fascinazione legata allo strapotere
economico, invece per moltissimi di loro è come se fosse un argomento tabù, un
terreno minato: guardano a oriente solo in caso di gare di formula uno o della
moto GP.

Il difetto di competitività dell’occidente è, certo, radicato nei
difetti strutturali del mondo del lavoro e imprenditoriale, ma nasce da
un’arrendevolezza rinunciataria che qualche antropologo potrebbe meglio
motivare. Senza rivaleggiare, contendere, sfidare, in una parola lottare siamo
nell’anticamera dell’estinzione, darwinisticamente parlando.
Distinti saluti
Luisella Rech

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Non ci sono dubbi, cara Signora. Siamo in fase di estinzione. Noi italiani, gli europei in generale, e poi gli americani, in una parola l’intero occidente. E lo siamo darwinisticamente, come lei dice. Sul piano demografico, sociale, economico, politico. Già anche politico perché confrontati con regimi totalitari o autoritari, le nostre democrazie si rivelano un lusso che non potremo permetterci ancora a lungo.

Trent’anni fa, quando la Cina si avviò lungo il paradossale percorso azzardato da Deng Xiaping, quello che vedeva un’economia di mercato fare da motore a una macchina totalitaria, gli analisti prevedevano concordi: non durerà a lungo, prima o poi quel motore scoppierà e farà saltare in aria il comunismo. Sbagliavano.

A saltare in aria è il nostro sistema e non quello illiberale della Cina. Al punto che oggi le previsioni si stanno rovesciando nel loro contrario. Sarà l’occidente a vedere ridotti progressivamente gli spazi di libertà dei suoi cittadini e non l’oriente ad aprirsi alla democrazia. Saremo noi sotto l’incombere della crisi a copiare le illiberalità della Cina e non la Cina ad adottare i nostri valori.

Che gli elettori lo vogliano o no, la priorità delle nostre democrazie non sarà più la difesa dei nostri principi di libertà, ma la difesa di quel che resta della nostra affluenza. A dominare la nostra agenda saranno sempre più le difficoltà economiche, i sacrifici sempre più pesanti che gli elettori spontaneamente non accetteranno mai. E dunque le costrizioni di governi sempre più invasivi e sempre meno rappresentativi. Governi che si illudono di impostare una ripresa economica con un’austerity che invece la mortifica ancora di più.

Per riguadagnare competitività i tagli e le tasse non basteranno mai. Il gap con la Cina comunista rimane enorme. Bisognerà batterla con le sue stesse armi: con una concorrenza che aiuti le nostre esportazioni, contingentando invece le importazioni. Insomma dichiarando una guerra commerciale, fallita la quale – Dio non voglia – non rimarranno che altre armi: quelle militari. Il futuro della pace mondiale si giocherà ancora – come negli anni Quaranta – nel Pacifico.