Gentile signor De Carlo,
Vorrei manifestare la mia indignazione critica nei confronti della condanna per
Sallusti a 14 mesi di carcere per diffamazione.
I fatti si riferiscono ad un corsivo, firmato con lo pseudonimo Dreyfus, che nel
2007 esprimeva opinioni, ritenute diffamatorie, nei confronti del giudice
tutelare Giuseppe Cocilovo pubblicate nel 2007 sul quotidiano Libero, di cui era
all’epoca direttore, e riguardanti l’aborto di una ragazza tredicenne.
Chiunque ha il diritto di scrivere, filmare, propagandare in libertà e la
manifestazione del pensiero non è una provocazione. Le parole che lei ha usato
per sottolineare la cultura occidentale della libertà di opinione che
illuminismo, rivoluzione francese, laicità, ci hanno lasciato e a cui siamo
educati.
Ma questa sentenza pare rinnegare quello che ci distingue dalla cultura
islamica.
Sallusti ha detto che non vuole sconti, ne’ affidamenti a strutture esterne al
carcere perché non pensa di aver bisogno di essere rieducato, ne’ di essere
colpevole. Andrà in carcere. Probabilmente, però, non gli permetteranno nemmeno
di diventare un simbolo e l’occasione di un vero rinnovamento legislativo
ammorbidendo forzatamente l’applicativo della sentenza; intervenire sulla Legge
sarebbe, invece, doveroso.
La federazione della stampa propone ai quotidiani di uscire con degli spazi
lasciati in bianco sulla copertina del giornale, una risposta molto tiepida di
una visione puramente economica dei fatti. In quegli spazi ci starebbe meglio,
invece, una vignetta satirica, uguale su tutta la stampa italiana, compatta, per
una volta, a tutela della propria esistenza e finalità.
Distinti saluti,
Luisella Rech

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Gentile Signora, come lei nota il caso Sallusti è emblematico degli anacronismi della normativa italiana sulla libertà di stampa. Perché è vero che il codice penale contempla la responsabilità oggettiva del direttore di un giornale per tutto ciò che viene pubblicato, ma è altrettanto vero che questa responsabilità è del tutto aleatoria considerando l’impossibilità di un controllo capillare.

Di conseguenza a rispondere dovrebbe essere non il direttore ma l’autore dell’articolo, nel caso ovvio in cui quest’ultimo fosse incorso nel reato di diffamazione o calunnia.
Questo è stato l’atteggiamento prevalente della magistratura negli ultimi decenni, sopperendo così alle carenze del legislatore.
Ebbene quasi all’improvviso, contravvenendo la prudenza e il buon senso di tanti altri colleghi, un giudice decide di applicare la norma punitiva alla lettera. E trasforma una leggere pena pecuniaria in oltre un anno di prigione senza condizionale.
A questo punto è impossibile non lasciarsi prendere dal sospetto che nei confronti di Sallusti abbiano giocato animosità di natura politica. Gran parte della magistratura italiana tende a sinistra, in linea del resto con i suoi organi corporativi. Sallusti tende invece dall’altra parte.

Ma c’è un’altra considerazione a conforto di questa tesi partigiana. Un paio di giorni fa, come anche lei avrà appreso, è venuto fuori un parlamentare italiano, Renato Farina, il quale ha confessato: dietro l’anonimato della firma ci sono io. Se deve essere punito qualcuno, questo qualcuno è il sottoscritto.
Apprezzabile atto di onestà. E non capisco perché Mentana lo abbia definito infame.

Mi aspettavo allora che la Procura di Milano riaprisse il caso e ordinasse un altro processo. Nulla. Tutto quello che ha fatto è stato sospendere la pena per quattro settimane.
Morale: se non bastasse l’arretratezza della norme, ci si mette anche la logica perversa di chi è chiamato ad applicarle.