Solo una minima parte delle donne che ha subito violenza, psicologica, economica, fisica, sporge denuncia. Anche perché, nella maggior parte dei casi, com’è statisticamente noto, a commetterla su di loro sono i partner. Spesso le vittime negano anche di fronte all’evidenza, in pronto soccorso, mentre qualcuno satura le loro ferite, almeno quellefisiche. In questo contesto la Regione Lombardia lo scorso 14 maggio ha deliberato la modalità di erogazioni di contributi previsti dal Fondo regionale a sostegno della Famiglia e dei suoi componenti fragili, comprese le vittime di violenza, istituendo l’acquisto di servizi tramite voucher. Se già può apparire disincentivante, a fronte di uno stato di necessità economica, avviare la trafila per chiedere all’ente dei ‘buoni’ per acquistare di fatto sul mercato (o ottenere uno sconto) dei servizi di doposcuola o di attività ricreative estive per i propri figli, la logica del voucher appare assurda nei casi di violenza. Per tre motivi.
Primo perché presuppone che una donna venga invitata da chi la soccorre a compilare un modulo e ad attivare la procedura per ottenere il tagliando, come se si trattasse dei buoni scuola per i libri dei figli.
Secondo perché presuppone che in un secondo momento la donna, anziché essere presa in carico da una rete esistente, debba orientarsi e decidere quali servizi attivare (legali, psicologici, sociali) e presso quale centro: scegliere una terapista come se si trattasse di una pizzeria.
Ma il vero danno è che automaticamente si genera un mercato dell’offerta con la conseguenza che, anziché finanziare e sostenere i centri antiviolenza esistenti, che vantano personale specializzato, esperienza, e già operano in rete con forze dell’ordine, pronto soccorso di aziende ospedaliere, Asl, servizi sociali comunali e associazioni di volontariato del territorio ma che hanno sempre i fondi ridotti al lumicino, si rischia di veder spuntare come funghi cooperative o associazioni che pubblicizzino ed eroghino aiuti di varia natura, magari anche di qualità ma a sé stanti. La logica dei voucher, come ha sottolineato in questi giorni anche Snoq (Se non ora, quando?) Lombardia (ma già i centri antiviolenza e altre associazioni hanno preso posizione contro la delibera regionale), infine è opposta a quella di sistema ritenuta necessaria nella Convenzione di Istanbul per arginare il fenomeno della violenza contro le donne, che è attualmente in fase di ratifica da parte dei due rami del nostroParlamento. Un problema sociale così grave, in cui si contano morte quasi ogni giorno, deve essere affrontato e finanziato in maniera univoca dal Governo affinché sia sul piano di pronta risposta all’emergenza che su quello dello sradicamento della cultura patriarcale e misogina che ne è il fondamento, non ci siano, in Italia, differenze di trattamento.