Baobab Expo Angola

Donne: la linfa del baobab nel padiglione Expo dell’Angola

Quale eredità lascia Expo 2015 alle donne che abitano questo pianeta? Il messaggio di genere dell’esposizione mondiale milanese che ha chiuso oggi i battenti è racchiuso nel baobab ipertecnologico, attorno a cui ruotava tutto il padiglione dell’Angola, e in cui scorrevano, come linfa vitale, i primi piani e le storie di donne, dalle professioni più svariate, di quel pezzo d’Africa. Un giovane angolano in giacca e cravatta, al posto della classica hostess, spiegava all’ingresso, nel porvi in omaggio un invitante passaporto, con un sorriso non privo di orgoglio: “Sono le donne a ricostruire il nostro Paese”. E mentre si saliva intorno a questo nuovo albero con le radici in terra d’Africa veniva da chiedersi se un nuovo mondo costruito col sapere, la pazienza e la fatica instancabile delle donne, che dai primi vagiti hanno nutrito la specie umana, sia il ‘seme’ autentico che Expo 2015 donerà per ‘Nutrire il pianeta’.

Più di ogni fantasmagorico effetto speciale utilizzato dai vari Paesi in questo Expo digitale – fiori musicali, quadri parlanti, suggestive proiezioni in 3D con l’aggiunta dell’olfatto (come nel padiglione  dell’Ecuador), quasi un mondo magico di potteriana memoria per noi babbane, è stato l’Angola, premiato tra l’altro con il ‘Class Expo Pavilion Heritage Awardscome’ come padiglione che meglio ha interpretato il tema legato alla nutrizione, a riproporre l’archetipo della terra madre, di un genere femminile che non si limita passivamente a nutrire un pianeta depauperato da guerre, colonialismo e carestie bensì lo matura nel proprio grembo, lo accudisce nei primi fragili passi, lo educa nel proprio perenne ciclo vitale, lo fa risorgere a nuova vita. E’ un futuro resettato che riparte dalle origini quasi dire al genere maschile, nel martoriato Angola come nel resto del mondo: sono questi i tuoi risultati? Ora lascia provare alle donne. Non è un caso se gli investimenti di microcredito nel mondo su progetti di rilancio economico vengono statisticamente assegnati in maggioranza alle figure femminili, vena aurifera inesauribile, capaci di generare e rigenerare. Ma su scala globale servirebbe una rivoluzione, quantomeno culturale.

E invece oggi, con la chiusura ufficiale di Expo, sembra che le questioni fondamentali siano vantarsi di aver superato i 20 milioni di biglietti venduti senza però dar voce ai tanti che, pagato un ingresso salato, hanno visto poco o niente a causa delle code di ore ai padiglioni: fu vera gloria? O ci starebbe bene una class action?

Oppure si disserta sul recupero dell’albero della vita, con fontane e musiche zampillanti: è normale che gli spettatori paganti non volessero perdersi lo spettacolo, che però era più tendente al noioso che allo sfavillante. E non da ultimo: è mai possibile non avere ancora deciso il destino dell’area?