Allenatore = educatore

“In ogni essere umano esiste un bimbo che vuole giocare (F.Nietzsche)… e non vincere (H.Wein)”.

Caro Allenatore, ti chiamo così, anche se non ti ritengo tale.

Succede che una sera di piena estate, in una piazza piena di bambini e ragazzi che giocano, si divertono, sorridono, tra un gol, un canestro e una voleè, alcuni genitori inizino a raccontarmi…
perchè non lo sai di quell’allenatore, che allenava i nostri figli…”. Il racconto è presto choccante. Almeno per uno come me che da qualche anno sta dando tutto, per quanto posso, per promuovere i valori dello sport tra i bambini, come reale strumento di crescita, di educazione, di rispetto della legalità. Tanto che dopo qualche minuto li interrompo, “basta, basta…ho capito tutto, devo fare qualcosa”.

Ed eccomi qua, a scriverti, caro (pseudo) Allenatore.
Non so nemmeno che faccia tu abbia, ma mi sembra di vederti – nitidamente – dopo che hai vinto il campionato, forse l’anno scorso o quello indietro ancora, non importa. So che l’hai vinto. Voli tre metri sopra il cielo. Sopra i tuoi bambini. Ti senti arrivato, ebbro del tuo trionfo. Ma guarda bene, sotto di te…non tutti i piccoli stanno gioendo, c’è chi sospira, chi sbuffa…chi è già scappato. Perchè lo hai fatto scappare. Tu.

Ti ricordi quella volta che dicesti a Luca (un nome di fantasia, ovvio), “vai dalla mamma e digli di iscriverti a danza, qui non farti più vedere”? E quella volta che al papà di Andrea dicesti, a inizio anno, “lui nella mia squadra non giocherà mai, decidete voi cosa fare…”?
Io ho resistito tre anni – mi ha raccontato un papà -, ogni stagione la stessa storia, giocavano sempre i suoi sette prescelti, i più bravi, il campionato e persino le amichevoli, persino le amichevoli!, quei sette a giocare, gli altri bimbi a guardare, in panchina o dietro una rete. Alla fine non ce l’ho fatta più: o lo prendevo a male parole o lo portavo via”. Il figlio di questo papà, adesso, ha 12 anni: fa nuoto. E di calcio non ne vuole più sapere. Eppure, il pallone, lo amava. Non sarà mai diventato Messi, ma che importa?

Per non parlare di quel bambino che…lo chiameremo Daniele…”non giocava mai – racconta il genitore -, mai, si allenava in settimana e poi il sabato stava a guardare. La mamma, poverina, lo portava sempre, con il sole e con la pioggia, perchè il bambino ci teneva alla squadra, ai suoi compagni, ma era costretto sempre e solo a guardarli”.

Per un dribbling meno efficace, per un tackle magari non convinto, per un tiro non troppo preciso.

Da cinque anni – cinque! – i “magnifici 7” giocano e Daniele guarda. Come gli altri esclusi, che stagione dopo stagione cercano altri lidi, altri sfoghi, altri posti meno aridi.
 “A volte si inventava delle scuse di qualsiasi tipo durante gli allenamenti per non convocarli per la partita”, spiega un altro genitore.

 “Una sera, in riunione, noi genitori abbiamo chiesto le visite mediche per poter giocare – racconta una mamma -, le chiedevamo a tutela della salute dei nostri figli, che è la cosa più importante: si era deciso insieme che si sarebbe giocato solo dopo aver fatto il controllo. Sai cosa ha detto quell’allenatore… ma i miei sette non hanno il certificato, come faccio a farli giocare sabato?”.
Un mare di volte ci siamo lamentati con i responsabili della società – evidenziano i genitori – ma non c’è stato niente da fare: la risposta era sempre che non c’erano altri allenatori volontari a disposizione”.

Quei genitori erano tutti molto coinvolti nella squadra, nel gruppo: partecipavano, organizzavano, aiutavano fuori dal campo. Dentro, invece, tutto in mano al mister-padrone. Adesso, sono lontani. Ma non dimenticano.

Veniamo a noi, caro Allenatore…Tu non hai capito niente. E mi stupisco che chi gestisce la società ti lasci ancora in quel posto, a fare danni. Inconsapevolmente.
Tu non lo sai ma hai delle responsabilità, grandi. Il tuo compito non è vincere – ficcatelo in testa -. Il tuo compito è crescere dei bambini, nel rispetto di loro stessi, dei compagni, degli avversari, delle regole, del pubblico, degli arbitri. Questa è la vittoria che devi cercare. Se poi arrivano anche le coppe, tanto meglio.

Ma quale insegnamento dai, a dei bambini che sono al campo solo per divertirsi e stare con gli amici, facendo una folle selezione? Non ti rendi conto dell’umiliazione che “regali”, a questi bimbi, con i tuoi gesti, le tue parole, i tuoi comportamenti, le tue decisioni? Ti sei mai messo nei loro panni o ti interessano solo i tuoi, quelli del “grande mister” che ha vinto il campionato con i suoi “magnifici 7”?

Fidati. Ascoltami. Non hai capito niente di cos’è lo sport. Di cos’è una squadra. Di qual è il ruolo di un allenatore nei settori giovanili: devi essere d’esempio. Devi essere un modello, per i tuoi allievi. Devi insegnargli che si vince e di perde insieme. Soprattutto – insieme – si può migliorare. Anche chi è meno dotato. Da ognuno di loro devi cercare di tirare fuori il massimo e ogni loro miglioramento, seppur minimo, sarà una tua vittoria. Spiega a Mirko – uno dei magnifici 7 – che anche Daniele o Andrea possono fargli un grande assist: e possono darci un cinque, dopo un bellissimo gol. Anzi, sono sicuro che Mirko lo sa meglio di te…

E che ti importa, se Luca ha sbagliato quel rigore? C’è sempre un’altra occasione: insegnagli a calciarlo meglio e quando il prossimo lo segnerà, dagli un buffetto sulla guancia: leggerai nei suoi occhi un lampo di felicità.

Il tuo obiettivo deve essere di avviare un percorso di crescita dei singoli atleti: ognuno ha le sue potenzialità, esigenze e specificità, devi dare loro la possibilità di esprimersi, di sbagliare, di sprigionare la propria creatività. Al contempo, devi cercare di far crescere e cementare il “gruppo squadra”, plasmando spirito comunitario; condivisione di sforzi, emozioni, gioie e dolori; cooperazione e reciproco aiuto nelle difficoltà.
Questo è il tuo ruolo. Se non ti senti in grado di svolgerlo, passa la mano. Non entrare in gamba tesa sul futuro di questi bambini.

Ti lascio, con un piccolo dono, scritto da me, come se fossi un allenatore. Sperando che tu abbia l’intelligenza di capirlo, di accettarlo, di farlo tuo.

Il giocatore della nostra squadra….
sa sempre essere onesto
sa che si vince e si perde insieme…
sa sempre essere un giocatore generoso…
sa che un assist vale come e più di un gol…
sa che non esistono nemici ma solo avversari…
sa che l’importante non è vincere, è rispettare le regole…
sa che l’errore è solo una tappa del percorso di apprendimento…
sa che sia il compagno che l’avversario in difficoltà vanno aiutati…
sa che nessuno deve diventare un campione, tutti devono diventare uomini
sa che il calcio è solo un gioco, il più bello di tutti.

P.S.Dimenticavo una cosa….questo Allenatore opera in un ORATORIO, nel gruppo sportivo di un ORATORIO. E, adesso, ho detto davvero tutto.

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