“Al Senato non succederà un c. (irriferibile, ndr.) di niente! La domanda non è se il governo non ha i numeri, che li avrà sempre, ma se le opposizioni sono in grado di mettere in difficoltà il governo e la risposta è NO!”. Paolo Naccarato (ex Ncd, ora GaL) quasi si scoccia se gli si chiede del (presunto) Vietnam che la maggioranza si troverebbe ad affrontare, voto dopo voto, nell’aula di palazzo Madama. Dopo cioè, lo strappo della minoranza dem sull’Italicum (alla Camera), la mini-scissione di Pippo Civati, etc.
Certo è, pero’, che, al Senato, stanno per arrivare, in rapida successione, la riforma della Rai (all’esame della commissione Cultura), il ddl scuola (il quale deve, però, prima essere votato alla Camera e non arrivera’ al Senato prima della fine di maggio) e, soprattutto, il ddl Boschi (riforma del Senato e del Titolo V). ddl Boschi che “Non lo hanno ancora nemmeno incardinato in commissione Affari costituzionali, è lì parcheggiato da mesi, nonostante la presunta fretta di Renzi di volerlo approvare subito”, sibila il senatore Federico Fornaro, gran tessitore, insieme a Miguel Gotor, delle truppe bersaniane. E sempre Fornaro, scettico sulle aperture della Boschi sull’elezione dei futuri senatori (“Vogliamo un Senato veramente elettivo”) e persino sul ddl sul conflitto d’interessi, assicura: “Siamo almeno 25 e pronti a dare battaglia, uniti”.
Insomma, senatores probi viri, Senatus mala bestia. Ieri, a palazzo Madama, in effetti, l’aria era serena e rilassata, causa anche l’arrivo del ‘generale Week-end’. Resta il punto. Com’è messa, la maggioranza, al Senato? Dipende, rispondono dal gruppo del Pd. La maggioranza, infatti, gode di un margine discretamente ampio: tra i 173 e i 175 voti, senza contare i senatori a vita come Monti e Napolitano e altri 2/3 senatori che votano sempre con il governo, come il ligure Rossi, la pattuglia di Autonomie-Psi, etc., “ma se fossimo in difficoltà arriviamo a 180 voti”, assicura Naccarato.
E, sempre dal gruppo Pd guidato da Zanda, tranquillizzano anche sulle reali intenzioni della minoranza dem, cui abbassano di molto il numero (“non sono più di 20”) e persino su quelle dei civatiani. “Mineo, Tocci e Ricchiuti, ma anche Lo Giudice e Casson – oggi impegnato a correre come sindaco a Venezia per tutto il Pd – non hanno alcuna intenzione di uscire”. In realtà, i tre potrebbero voler uscire, ma solo dopo l’esito delle Regionali, quindi si vedrà più avanti.
Civati, però, la sua mossa l’ha fatta: ieri ha incontrato una pattuglia di ex pentastellati (Campanella, Pepe, Casaletto, De Pin) con cui potrebbe, volendo, dare vita a un gruppo autonomo. Magari insieme ai sette senatori di SeL, capitanati dalla De Petris. Della quale, pero’, sibilano i senatori renziani. “Sta bene dov’è e le piace molto fare quello che fa, e cioè la capogruppo dell’imponente gruppo Misto…”. Certo è che un nuovo gruppo di ‘sinistra’ composto da civatiani, Sel ed ex M5S potrebbe impensierire Renzi almeno quanto la battaglia che la minoranza prepara sul ddl Boschi. Il ‘Vietnam’, appunto. In quel caso, però, sono già pronte le truppe di soccorso: la coppia Bondi-Repetti, uscita con massimo sdegno (loro) da Forza Italia, che già vota con il governo, i verdiniani (pochi dentro FI, ma forti nel GaL), pronti a uscire a breve da FI proprio come i fittiani, che stanno gia’ alacremente lavorando a formare gruppi autonomi al Senato come alla Camera, e qualche transfugo ex grillino come Orellana o qualche ‘responsabile’ azzurro come RIccardo Villari (ex Pd). I quali, dunque, potrebbero svolgere, è molto presto, la funzione di ‘vietcong’ al contrario: pro-governo.
NB. Questo articolo è stato pubblicato l’8 maggio 2015 a pagina 8 del Quotidiano Nazionale (http://www.quotidiano.net)
© Riproduzione riservata