“Ciao, Pd. Non ho più fiducia, dopo l’ultima fiducia (quella sull’Italicum, ndr.). Spiace, ma mi sentivo una particella di sodio. Ora voglio costruire una nuova sinistra a sinistra del Pd e parlare soprattutto al partito degli astensionisti. A sinistra c’è uno spazio infinito, e io voglio interloquire con tutti, da SeL a Landini (Civati ha visto ieri mattina il leader della FIOM-Cgil e poi Landini ha incontrato Stefano Fassina, ndr.), ma serve tempo. Un nuovo soggetto politico non credo nascerà prima dell’estate. Intanto resto in Parlamento e passo al gruppo Misto, dove raggiungerò Pastorino”, candidato civatiano e anti-Pd in Liguria.
Pippo Civati – una prima vita al fianco di Renzi nelle ‘Leopolde’ delle origini, una seconda fatta di rotture e alternative tutte contro Renzi, a partire dal brillante risultato alle ultime primarie del Pd (14%) – non smentisce la sua fama di giovane ribelle à la page. E così, per lasciare il Pd, sceglie le modalità a lui piu congeniali: un post sul suo blog, un’intervista al quotidiano on-line Il Post, un’intervista negli studi di Lilli Gruber a Otto e Mezzo su La 7 (a Civati piace molto andare in TV e alla TV piace molto ospitare il ribelle ‘caruccio’ Civati) e le foto con dietro il logo della sua nuova/vecchia associazione politica, che si chiama ‘Possibile’, ma anche dietro il logo di Left, stesso e identico nome e testata dell’omonimo settimanale, figlio di un mielieu molto radical chic tutto romano passato dall’amor fou per Bertinotti a quello per Vendola e ora Civati…), prodomiche di un ‘nuovo’ soggetto-partito che però, ammette lo stesso Civati, non vedrà la luce prima dell’estate.
Al di là delle farisaiche dichiarazioni di dispiacere (l’unica sentita è quella di Matteo Orfini che lancia l’hastag #Pipporipensaci), dentro il Pd non ne potevano più degli annunci continui di abbandono da parte di Civati. Renzi (e Guerini) liquidano la questione con un secco “si sapeva” o, come dicono gelidi i dem renzi ani a Montecitorio, “Civati e’ un insoddisfatto arrogante e perpetuo” (GIovanni Burtone, siculo) e la sua scissione è “la cronaca di una morta annunciata” (Dario Ginevra, pugliese). Anche dalla minoranza dem, premesso che “si tratta di un fatto politico che non va minimizzato” (Bindi) né “può essere liquidato con un alzata di spalle” (Roberto Speranza), il sollievo è notevole.
Nessuno, infatti, ne poteva più né delle continue punture di spillo di Civati ai big della minoranza (“Prima dicono che è morta la democrazia, poi sono sempre la’, ognuno per se’, e non vanno mai via”) né di dover ‘spiegare’ ai cronisti che “dal Pd non ce ne andiamo, combattiamo per costruire un alternativa a Renzi, con Speranza” – come racconta Nico Stumpo, organizzatore dei bersaniani, che prepara una serie di iniziative targate Area riformista sui territori (si parte sabato 8 maggio a Cosenza con il reddito minimo di cittadinanza).
Gianni Cuperlo, pur nel “dispiacere per Civati”, annuncia di essere pronto a “dare una mano a Renzi se le sue aperture sono vere, a partire dalla riforma del senato, dove non lascerei perdere ogni Vietnam”. Ma dal Senato, invece, continuano ad arrivare sia l’eco dei tamburi di guerra (il ‘Vietnam’) della minoranza dem (22-25 i senatori ribelli) su ddl scuola, ddl Boschi, riforma Rai, sia le aperture, ad oggi timide, dei sette senatori di SeL che ‘potrebbero’ dare vita a un gruppo autonomo (ma spiegano da Sel che “la nostra DePetris da capogruppo del a sito cinta molto di più oggi che a capo di un gruppetto di fedelissimi”…) con i tre civatiani (Tocci, Mineo, Ricchiuti). I quali, però, annunciano che, a oggi, “il Pd è la nostra trincea e mollare ora sarebbe disertare”, come spiega Corradino Mineo, dando ragione a chi pensa, specie in SeL, che “per ora, oltre Pippo, dal Pd non se ne va nessuno, quindi è inutile dire ‘sciogliamo Sel’, dobbiamo aspettare almeno le Regionali se non addirittura l’estate perché maturi un fatto nuovo, lo dice e lo sa lo stesso Pippo”.
Alla Camera, invece, dentro SeL non vedono l’ora che arrivi non solo Civati, ma anche il vero ‘bersaglio grosso’, la minoranza del Pd. L’obiettivo, prima ancora di decidere di sciogliere SeL in un nuovo contenitore, è fare ‘argine’ al nuovo ‘soggetto politico’ di Landini che i vendoliani vivono con molta, palese, inquietudine (una sorta di Hannibal ad Portas….) perché temono di finirne annessi, e costruire un soggetto largo, importante, ma non schiacciato sul radicalismo e sul massimalismo (“l’errore di Bertinotti e Vendola ieri, Landini oggi…”). Per dirla con il capogruppo di SeL, Arturo Scotto, “vogliamo costruire un soggetto nuovo, ampio, ma riformatore e di governo”. Insomma, più che al ‘soggetto sociale’ di Landini, SeL ha in testa la vecchia Sinistra democratica di Mussi e Angius che, rompendo con la tradizione che vietava ogni idea di scissione nel PCI-Pds-Ds in quanto la Ditta non non si tradisce, se ne andò perche’ contraria al nuovo Pd, vissuto come una mutazione genetica, e alla fusione con la Margherita-Ppi. Solo che, correva l’anno 2007, gli ex Ds si portarono con sé quadri, dirigenti, big e furono parte fondante, con il pezzo di Prc Bertinottiano e vendoliano, della fondazione della sinistra Arcobaleno che, peraltro, naufrago’ rovinosamente alle elezioni del 2008 non superando lo sbarramento. Morale, per replicare la Sd che fu, oltre al solo Civati, dovrebbe arrivare il grosso della minoranza dem che, per ora, vuole restare dov’è.
Nb. Questo articolo è stato scritto e pubblicato per le pagine di Politica di QUotidiano Nazionale (http://www.quotidiano.net)
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