Il ministro alle Riforme, Maria Elena Boschi

Il ministro alle Riforme, Maria Elena Boschi

ROMA – Proprio perché il premier-segretario del Pd ha sferrato, ieri sera, in Direzione, un duro attacco alla minoranza dem (rimasta basita) Matteo Renzi ha deciso che sul partito è meglio quieta non movere. Traduzione e, si capisce, ricadute organizzative in quello che, ai bei tempi del Pci, si chiamava ‘L’Organizzazione’.

Per settimane i boatos dicevano e i giornali hanno scritto che Ettore Rosato, oggi vice-capogruppo vicario alla Camera a partire dalle dimissioni dell’esponente di Area riformista, Roberto Speranza, che si dimise quando non votò la fiducia sull’Italicum, sarebbe andato al Nazareno come vicesegretario unico. E che, dall’altra parte, Lorenzo Guerini, oggi vicesegretario con Deborah Serracchiani, fosse il candidato ideale per ‘trattare’ meglio con le varie anime del Pd (specie quelle della sinistra interna) alla Camera e, quindi, diventarne il nuovo capogruppo, grazie alle sue qualità di raffinato e abile diplomatico (non a caso, Guerini è detto ‘il Forlani’ di Renzi). Solo che, questa soluzione, avrebbe comportato una serie di movimenti tellurici a cascata pari quasi a un terremoto con la ministra Boschi che avrebbe potuto diventare la nuova vicesegretaria unica del Pd (e, sotto, Rosato all’Organizzazione) o l’Organizzazione in mano al sottosegretario Luca Lotti e la vicesegreteria a Rosato…

E, invece, niente, nothing, nada: tutto resta com’è e tutti restano dove sono. Guerini (che, però, potrebbe sempre essere promosso altrove, tipo al governo, in un prossimo rimpasto) e la Serracchiani al Nazareno, anche perché mandare via Guerini avrebbe inviato all’esterno un ‘cattivo’ messaggio: quel famoso promoveatur ut amoveatur che, in soldoni, tutti avrebbero tradotto così: ‘Renzi fa pagare, a Guerini, il caso Campania, il caso De Luca, ma anche il caso Pastorino-Paita, ma anche il caso Moretti-Veneto’, etc. Invece, Guerini gode ancora della piena fiducia di Renzi e – anche se lavorare con lui è difficile quanto stimolante”, come confida ad un amico alla Camera – resterà, appunto, dov’è: a gestire la ‘macchina’. Formalmente, con la Serracchiani accanto, ma – come si sa – la Serracchiani fa il governatore del Friuli….

Rosato, d’altro canto, sarà il nuovo capogruppo del Pd, come da ormai lunghi pronostici. Al suo fianco, come vice-capogruppo vicario, sarà però promosso Matteo Mauri. Giovane milanese in carriera, già (ex) bersaniano, ma anche (ex) penatiano (nel senso di Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano), Mauri guida – con altri giovani quarantenni, tra cui Dario Ginefra e Enzo Amendola, per il quale ultimo si schiuderanno, e presto, le porte del governo, al ministero degli Esteri – il gruppo di quei 40/50 ‘Nuovi Responsabili’ che, ‘tradita’ la loro (ormai ex) Area riformista di Bersani-Speranza-etc., dal voto di fiducia sull’Italicum in poi, sono diventati una sorta di ‘Giovani Turchi 2.0′ o, come scrive QN, ‘i giovani armeni’.

Infine, le ‘nuove’ regole per stare dentro il Pd in modo ‘civile’, naturalmente con l’imprimatur del premier-segretario che, di voti in dissenso ‘fotocopia’ (l’altro ieri sul Jobs Act, ieri sull’Italicum, domani forse sulla scuola…) non ne può davvero più. Le ha ideate, le ‘nuove’ regole, Andrea De Maria, che poi è cuperliano e membro della Segreteria: si potrà votare in dissenso dal gruppo su questioni di coscienza (i diritti individuali, i temi etici, etc.) e/o attinenti alla Costituzione (riforma del Senato, per dire). Stop.
Per tutto il resto, fiducia in testa, “o voti con il gruppo o sei fuori”, ride un renziano che ama i talentshow.

NB. Questo articolo è stato pubblicato a pagina 3 del Quotidiano Nazionale il 9 giugno 2015, ma SOLO nell’edizione notturna e in ribattuta per le regioni del Centro-Nord.