E’ BENE accendere di nuovo i riflettori sui politici di casa nostra, quelli che utilizzano parole tipo trasparenza con tanta facilità come aprire il rubinetto di casa e si fanno paladini delle categorie più deboli.
Ma se fossero i primi a sfruttare precari e pagati a nero? Il dubbio è legittimo e ne abbiamo dato conto in un articolo uscito lunedì scorso nelle cronache regionali relativo ai nostri parlamentari e i loro portaborse. Ma è giusto tornare sull’argomento e raccontare come molti della nostra pattuglia a Roma, senza differenza di schieramento, hanno evitato di rispondere o sono diventati improvvisamente muti; loro che hanno parole da spendere su qualsiasi argomento.
Un risultato sconfortante, insomma, che fa riflettere davvero.
Sono state fatte molte telefonate, le risposte sono state poche. Evasive. Imbarazzate.
Nella nostra pattuglia di parlamentari l’unica che non ha battuto ciglio è stata Vittoria Franco, senatrice del Pd, che ha detto, in una manciata di secondi, di avere un collaboratore che guadagna 1200 euro al mese. Gli altri del Pd si appoggiano al gruppo e devolvono gli oltre tremila euro ad hoc. E così hanno liquidato la questione. A destra e al centro (il terzo polo che si dichiara nuovo) abbiamo assistito a scenette telefoniche tra il fuggi fuggi e il ’ma bisogna parlare proprio di questo’?».
Da Toccafondi e da Totaro, entrambi del Pdl, ci si aspettava risposte più chiare: il primo si avvale della collaborazione di Stefano ma curiosamente non dice nè il cognome, nè la cifra dello stipendio per «questione di privacy». Quale privacy? Il secondo fa cifre (1200 euro nette al mese) ma il nome del portaborse è top secret.
E si pensi bene che le loro risposte sono già un successone visto che c’è chi ha preferito dire «si può scrivere che non sono stato trovato al telefono per rispondere a questa domanda…».
Non stiamo a parlare dell’abusato termine casta. Ma cari parlamentari fiorentini la prossima volta che volete voi parlare di una qualsiasi trasparenza, il nostro telefono sarà occupato.