“Cambiar tutto per non cambiare niente”, scriveva Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo. Frase abusata, ma azzeccata per sintetizzare il pasticcio siciliano delle Province. Perché, anche in questo caso, l’Isola (che è una delle cinque Regioni a Statuto speciale) ha fatto di testa sua. Nel 2013, infatti, il governatore Rosario Crocetta aveva annunciato in diretta tv l’abolizione delle Province. Un colpo di teatro che anticipava la riforma Delrio arrivata un anno dopo.

Nel frattempo Crocetta al posto delle vecchie Province creava “liberi consorzi” di comuni (Enna, Agrigento, Caltanissetta, Ragusa, Siracusa e Trapani) e tre città metropolitane: Messina, Palermo e Catania. Ma la riforma “alla siciliana” ha avuto vita breve. E oggi i “liberi consorzi” rischiano il fallimento. Ma che la situazione fosse grave, già lo segnalava la Corte dei Conti, in una relazione del 2016. In primis, l’allarme era sulla spesa per il personale. A fronte di una media nazionale pro-capite di 22,9 euro, l’amministrazione di Enna spende il triplo: 61,83 euro. Messina il doppio: 48,16 euro. Ma anche Caltanissetta, Ragusa e Siracusa superano i 40 euro pro-capite. Per i magistrati contabili c’è anche di peggio.

Per il libero consorzio di Agrigento esiste “il concreto rischio di dissesto”, stessa situazione (o quasi) per Trapani che, causa “disequilibrio finanziario”, non riuscirà a svolgere “funzioni essenziali”, mentre per Caltanissetta si ammonisce “l’insostenibilità della manovra 2015-2017, dimostrando che non ci sono abbastanza risorse” neppure per pagare “utenze, la manutenzione ordinaria, la vigilanza e i servizi per gli alunni con handicap…”. Nella città metropolitana di Palermo “sarà dura coprire spese per rimborso mutui, fitti passivi, spese del personale, manutenzione di scuole e strade”. Poi c’è Siracusa, dove il personale da tre mesi non percepisce stipendio. Enna e Ragusa (dove la spesa sociale è alle stelle) resistono, ma sono al limite. Ad aggiungere altro caos sono gli effetti della riforma Crocetta. Prima bocciata dal Parlamento siciliano, poi dal governo perché in contrasto con la legge Delrio. Morale: la Sicilia ha dovuto recepire il ddl Delrio e oggi, addirittura, pensa a una controriforma. In pratica, punta all’elezione diretta di presidente e consiglieri provinciali, ripristinando i vecchi enti. Insomma, doppia giravolta. Ma c’è di più. Pure adeguarsi alla legge Delrio è diventata un’odissea con ben otto modifiche legislative. Tre di queste per spostare le elezioni dei liberi consorzi. Nell’attesa, a gestire gli enti ci sono commissari che, secondo l’Upi (Unione province italiane), cambiano ogni sei mesi. In pratica, dal 2013, nei sei “liberi consorzi” si sono succeduti ben 60 commissari di nomina regionale.

Margherita Rizza, commissaria del libero consorzio di Enna, ammette il fallimento della riforma Crocetta: “Le vecchie Province rischiano il default. In più, a differenza delle Province delle regioni a statuto ordinario, non sono state modificate le funzioni, né ridotto il personale. Risultato: abbiamo un disequilibrio finanziario di 143 milioni di euro e in cassa ci restano solo 90 milioni”. Senza contare un altro problema: il contributo richiesto dal governo dopo la riforma Delrio. Per la Sicilia vale 255 milioni di euro e visto il pasticcio che ha praticamente lasciati intatti costi di personale e funzioni dei vecchi enti, senza un intervento dello Stato non se ne verrà a capo. La trattativa è in corso e c’è da scommettere che il governo, almeno in parte, provvederà. Per ora la Regione siciliana tappa le falle, ma sappiamo che anche qui non sono rose e fiori.

Rosalba Carbutti

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