Chi non considera la poesia elitaria, antipatica e un po’ snob alzi la mano. Del resto se vai in spiaggia con un libriccino di Antonia Pozzi, poetessa grande e quasi dimenticata, te ne accorgi
dagli sguardi interrogativi. E se su Instagram invece di postare un tramonto come tanti, come tutti, scrivi un haiku (forma poetica giapponese), sperimenti qualche mini componimento perché senti la scintilla o, semplicemente, ‘rubi’ versi immortali di qualche poetessa, non manca chi ti manda un messaggino sulla chat di WhatsApp: «Ma basta con questo strazio».
Eccolo il problema: la poesia spesso più che amarla si odia. C’è chi la ricorda come una sfilza di versi da imparare a memoria (ricordate le scuole elementari?), chi si è sentito
costretto a studiare grandi immensi sommi poeti nel momento sbagliato, quando ancora si è troppo irrisolti per apprezzare un endecasillabo sciolto. Non significa essere scemi,
ma soltanto incapaci di vedere la poesia come qualcosa da vivere tutti i santi giorni. Quando ti innamori, quando arriva la primavera, quando nulla è più bello di un mare in
tempesta. «Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi», scriveva Alda Merini. La poesia è musa, grande forma letteraria. A volte diario, paura, sfogo. O, come per Giovanna Cristina Vivinetto, un dolore minimo che si vuole esprimere.

Rosalba Carbutti

Un commento mio uscito su QN. Uscito il 14 settembre 2019