Ci sono donne speciali con amori speciali. È il caso della pittrice messicana Frida Kahlo e del suo amato Diego Rivera, artista comunista, re dei murales, che lei ha rappresentato in dipinti, poesie, diari. Così scriveva la pittrice messicana: «Ho avuto due gravi incidenti nella mia vita. Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto, l’altro fu Diego». Un amore matto e disperatissimo, ma capace di lasciare tracce artistiche indimenticabili, intrecciando dolore, sofferenza, addii e ricongiungimenti.
In questo senso, oggi, la nuova Frida Kahlo potrebbe essere Marina Abramović. Quasi tutti ricordano al MoMA di New York il toccante esperimento dell’artista e performer serba che, seduta, guarda i visitatori invitati a sedersi di fronte a un tavolo. La performance dura 736 ore. Ma si ricorda soprattutto un minuto che lasciò tutti sospesi: l’incontro con Ulay dopo 30 anni di lontananza. Ulay è il compagno con cui Marina condivise vita e arte (un po’ come Frida e Diego) negli anni Settanta. Ulay arriva, si siede, guarda Marina. Marina sorride, e piange. Lui sorride. Si prendono le mani. Un minuto di sguardi. E silenzio. Ulay se ne va. Marina ricomincia la performance: l’arte non muore. Lo sapeva anche Frida, sebbene in alcuni momenti della vita (con o senza Diego) si sia persa. Lo sa, ne siamo certe, pure Marina, che oggi a più di 70 anni, ammette: «Il dramma c’è sempre, ma io sono più saggia».
Rosalba Carbutti
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