Si dirà: Felice Casson non è renziano, ma fa capo alla minoranza civatiana del Pd; dunque a perdere non è stato Renzi. Tuttavia l’ex pm è un senatore del Partito democratico e dopo aver vinto le primarie per la candidatura a sindaco di Venezia ha perso le elezioni. Difficile sostenere che la sconfitta non interroghi il partito di cui il premier è segretario. Matteo Bracciali è invece un renziano della prima ora e nella Arezzo del ministro Maria Elena Boschi è stato battuto dal candidato del centrodestra. In questo caso, non ci sono alibi. Un altro segno della contendibilità delle storiche roccaforti ‘rosse’. Ci sono poi la sconfitta a Matera, vecchio feudo della sinistra, la perdita di Rovigo, quella di Fermo… Insomma, si va consolidando un clima sfavorevole al governo in carica. Le avvisaglie c’erano già state col voto regionale di due settimane fa: la sconfitta in Liguria, i nervi tesi in Umbria. Il Pd di Matteo Renzi arretra nel Paese, e Matteo Renzi non avanza nel Pd anche quando vince. Giova infatti ricordare che dei 112 consiglieri regionali eletti dal Partito democratico, solo 54 possono dirsi “renziani”. I ballottaggi di ieri suonano dunque come un ulteriore campanello d’allarme per il premier, già in affanno sul fronte dell’immigrazione e con tutta evidenza privo di sponde politiche concrete in Europa. I guai, come si sa, non vengono mai soli.

Degno di nota, perché sintomatico d’un fenomeno epocale, il dato sull’affluenza alle urne. Da ieri, si è infatti chiusa una fase. C’erano una volta i sindaci, lo spirito del ‘93, l’entusiasmo per l’elezione diretta di chi governa i comuni. Cioè, nell’Italia dei campanili, l’istituzione che i cittadini considerano a loro più vicina. C’erano una volta, ma dopo vent’anni non ci sono più. Non c’è più quel clima, non c’è più quell’entusiasmo. Soprattutto non c’è più fiducia. Elezione dopo elezione, anche i comuni perdono sistematicamente elettori. Ieri, il record negativo: degli oltre due milioni di italiani chiamati alle urne per eleggere, con i ballottaggi, una settantina di sindaci, solo il 47% s’è preso la briga di recarsi ai seggi. Mai così pochi. Due settimane fa, al primo turno aveva votato appena il 52% degli aventi diritto. Per capirci, al primo turno delle amministrative del 2013 votò il 62,3%; al secondo turno il 48,5%. Cosa ci sta succedendo? Per quanto un noto politologo come Samuel P. Huntington sostenga che la bassa affluenza sia un buon segno, perché indicativa di una consistente fiducia nel sistema politico, c’è in realtà poco da stare allegri. E’ dagli anni Settanta che le elezioni perdono regolarmente elettori e questo trend, che riguarda tutto l’Occidente industrializzato, va attribuito alla crescente crisi dei partiti, alla modesta credibilità dei candidati e a una generale sfiducia nei confronti della politica. Un sentimento che travolge ora anche i mitici sindaci. Alle elezioni che lo scorso anno a New York videro trionfare Bill De Blasio si recò il 24% degli iscritti alle liste. Noi italiani arricciammo il naso. Ma è lì che arriveremo.