Nei giorni scorsi abbiamo scritto che quella di Renzi nei confronti della magistratura militante non era una guerra, ma una sceneggiata. Molte parole, nessuna voglia di passare ai fatti. Ora, però, anche le parole vengono giudicate di troppo. Così non fosse, ieri si sarebbe levato un coro contro Roberto Scarpinato. In un’intervista a Repubblica, il procuratore generale di Palermo ha sostenuto che i giudici non debbano applicare le leggi, ma «processarle» a norma di Costituzione e «vigilare» sui politici. Non è un caso isolato. Leggere, per credere, i riferimenti della sentenza Escort alle ragazze «avvenenti, provocanti, disinvolte» e persino «disinibite» che frequentavano le «cene (poco) eleganti» di Arcore. Confondere il peccato con il reato e assoggettare la politica a un’autorità morale è tipico delle teocrazie. Pensavamo di vivere in Italia, ci ritroviamo in Iran, sottomessi al Consiglio dei Guardiani della Costituzione. Ma guai a dirlo. Fischiettando la Marsigliese, anche Renzi si è piegato alle toghe.