In guerra si può uccidere un uomo sparandogli, sganciandogli una bomba sul tetto di casa, mozzandogli la testa con un machete, incenerendolo con un lanciafiamme. Avvelenarlo col gas nervino invece no, non si può. E’ vietato. Lo dice la Convenzione sul divieto delle armi chimiche del 1997, è norma del Codice penale internazionle adottato con il Trattato di Roma nel ’98. Si possono dunque sterminare decine di migliaia di civili sganciando bombe ad idrogeno come fecero nel ’45 gli Stati Uniti a Hiroshima e Nagasaki, si possono bombardare vecchi, donne e bambini come fece l’Italia di Massimo D’Alema a Belgrado nel ’98, si possono compiere omicidi mirati con i droni come fa abitualmente il premio Nobel per la pace Barak Obama in Pakistan e altrove, ma i gas no, i gas non si possono usare. Eppure, tra una bomba a grappolo ed una bomba a gas la differenza non sta certo negli effetti che produce. Entrambe ammazzano, la prima però fa bum mentre l’altra no: uccide in silenzio. Tutto qui. L’esperienza italiana ci insegna che l’obbligatorietà dell’azione penale è un’illusione che produce abusi, alimenta ipocrisie e deresponsabilizza i magistrati. Vale anche nelle relazioni internazionali, sempre più apparentemente sottratte al libero arbitrio della politica e sempre più apparentemente imbrigliate da norme, trattati, convenzioni e organismi giurisdizionali. Ne risulta l’idea della guerra come atto giuridicamente dovuto, obbligatorio. Un’assurdità, in effetti. Un’assurdità perché da che mondo è mondo le guerre si decidono in base a ragioni politiche, non giuridiche. Le ragioni giuridiche ne rappresentano semmai il pretesto. Cercare nel diritto quella forza e quelle ragioni che la politica non trova in se stessa incoraggia i falsi storici (abbiamo già dimenticato le «armi chimiche» di Saddam?) e soprattutto rappresenta un’ipocrisia, una distorsione, un modo che la politica usa per fare una cosa fingendo di farne un’altra. Combatte una guerra in nome della pace, scatena una rappresaglia per dovere di giustizia. E su questo piano alle volte resta vittima della propria retorica finto-pacifista-legalitaria, sì che basta la foto qualche civile ucciso, si dice, con armi chimiche in Medio Oriente per scatenare i sensi di colpa e la «doverosa» reazione dell’Occidente. Una finzione che indebolisce tutti: sia la politica, sia il diritto.