Qualche mese prima che la depressione lo strappasse alla vita per consegnarlo, esattamente cinque anni fa, alla morte, Francesco Cossiga si abbandonò a una previsione esatta. Eravamo seduti nello studio del suo appartamento romano, appartamento medio borghese del borghese quartiere Prati. Era autunno, fuori pioveva, dentro faceva caldo. Il Presidente indossava una veste da camera e tutto in lui aveva il passo lungo della Storia. Era come gravato da un peso, Cossiga. E da quel peso sapeva che non si sarebbe mai liberato. Portava in spalla il cadavere della Politica e come Tantalo non poteva sfamarsi al magro desco apparecchiato allora dai partiti. Era molto tempo che Cossiga, palato raffinato abituato a gusti più decisi di quelli che ormai passava il convento, non si nutriva dell’alimento per lui vitale. Era molto tempo che a suo dire la Politica era morta e di quel forzoso digiuno un poco per volta stava morendo anche lui. Rinunciare era impossibile – non c’è vita, per il politico, fuori dalla politica – illudersi anche. Non gli restava che il ruolo del profeta: profeta di sventure, visti i tempi. Dopo aver vaticinato la rapida e ingloriosa fine del berlusconismo e la nascita di un leader “inutilmente moderno” a sinistra, quel pomeriggio d’autunno il Presidente interruppe bruscamente il discorso, ormai mestamente scivolato sull’evergreen delle riforme istituzionali, fece una lunga pausa (cosa insolita, per lui) e senza distogliere lo sguardo dal vuoto scandì: “Ma queste, in fondo, sono tutte cazzate. E’ la schiuma della Storia. Il tema, oggi, è la fine del potere, ormai sottratto sia agli Stati sia alla politica per essere trasferito alla finanza e alle tecnostrutture globali. La vera partita è vedere come l’Unione europea, cioè la più ottusa e antidemocratica delle creature ‘politiche’, sceglierà di distruggersi e l’effetto che produrrà sugli Stati ormai esangui la gigantesca ondata migratoria che travolgerà l’Occidente”. La sovranità, dunque, e l’identità: le due questioni vitali e preliminari. I presupposti di ogni politica, l’essenza di ogni democrazia.

Fuori pioveva, dentro faceva caldo. Cinque anni fa la Politica – “con la ‘p’ maiuscola” come piaceva dire a lui – ha perso il suo ultimo, grande interprete e con Francesco Cossiga si è spenta una fiamma antica. Ricomincia dalla questione democratica (chi siamo, chi comanda e chi legittima chi comanda) un nuovo ciclo politico dai contorni ancora a dir poco oscuri.