Francois Hollande ha parlato di “guerra”, Matteo Renzi ha parlato di “battaglia”. Se le parole hanno un senso, al netto del retorico “siamo tutti francesi” ritualmente scandito per l’occasione al suono della Marsigliese, sarà bene che i capi di Stato e di governo occidentali si chiariscano le idee. Se il massacro di Parigi è un atto di “guerra” contro la Francia, l’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico prevede che i paesi della Nato si allineino allo Stato attaccato e utilizzino la forza militare “per ristabilire e mantenere la sicurezza”. Se siamo in guerra, bisognerà mettere in conto i relativi costi in termini di spese militari crescenti, vite umane perse, libertà limitate. E allora, siamo in guerra? La risposta è sì, lo siamo. E’ una guerra carsica, quella tra Islam musulmano e Occidente cristiano, che, come ci ricorda lo storico Bernard Lewis, si combatte non da oggi né dall’11 settembre 2001 ma da 14 secoli filati. Una guerra che non ha nulla a che vedere con le presunte colpe di noi ricchi occidentali e che infatti comincia unilateralmente da parte islamica e nel 1683 vede i turchi dare l’assalto al cuore d’Europa, Vienna. Il colonialismo non c’entra. Verrà due secoli dopo. E nulla c’entrano le condizioni sociali ed economiche: come ha ben documentato l’economista Alan Krueger, la crescita economica dei paesi musulmani e occidentali non ha infatti ridotto l’incidenza dell’attività terroristica, che si è invece intensificata. Siamo dunque in guerra (non con l’intero Islam, naturalmente, ma col Califfato islamico) e non lo siamo per colpa nostra. Smettiamola dunque di piangerci addosso e di colpevolizzarci. Smettiamola di giustificare sociologicamente chi intende tagliarci la gola. Ma soprattutto smettiamola di scandalizzarci per la “barbarie” e la “disumanità” dei nostri nemici: i valori di libertà e laicismo che ci rendono odiosi agli occhi dei fondamentalisti islamici sono stati affermati proprio a Parigi mozzando teste e massacrando preti; avere dei “nemici” e fare “la guerra” non è tipico dei “barbari”, ma attiene, che lo si voglia o no, alla condizione umana. La Storia è punteggiata di carneficine e se vogliamo sottrarci al destino di vittime sacrificali sarà opportuno muoversi lungo due strade. La prima sconsiglia di fare d’ogni erba un fascio. Abbiamo in casa troppi milioni di musulmani per generalizzare: dobbiamo dunque prosciugare il bacino a cui attingono i fondamentalisti tirando dalla nostra parte l’Islam non radicale. Per farlo, giova ricordare che la stragrande maggioranza delle vittime dei terroristi islamici crede in Allah. La seconda strada è, in questa fase, la più urgente. Parte dall’assunto che più dell’integrazione sarà la forza a scoraggiare nuovi proseliti alla causa islamica. I benpensanti non approveranno, ma la violenza seduce, la forza attrae. Prioritario, dunque, è piantarla con le divisioni tra Stati Uniti e Russia e tra Paesi dell’Unione europea. Bisogna mostrarsi uniti e determinati. Esibire la forza a partire dalla Siria e farne un vanto. Loro sono disposti a morire per i loro valori, noi non osiamo mettere a rischio neanche la vita dei nostri militari. Ma così esponiamo quella dei civili.